attualita, edizione cartacea

di Giulia D'Arrigo | 01 Febbraio 2018 | in categoria/e attualita edizione cartacea tempo libero

L'ANGOLO DI GIULIA - Quel Carnevale che...

Il più bello è stato quello del 2011. Facevo servizio civile e quel giorno, anche io che non mi travestivo mai, avevo deciso di festeggiare con colleghi e ospiti. Allora, vediamo, da cosa mi vesto? Niente classici, mostri o principesse. Decido di cavalcare il mio spirito rock ed impersonare nientepopodimeno che Il Duca bianco, David Bowie. Ovviamente secondo un ferreo “fai da te”. Sottraggo a mia madre una maglia e una giacca anni ‘70 e recupero uno spray arancione per i capelli. Manca ancora qualcosa: così mi infilo in un negozio di cinesi e ne esco con un paio di leggings lucidi-brillanti-metallizzati effetto alluminio e così aderenti che non potevo neppure chinarmi per paura che esplodessero. Una cosa sobria, giusto per non dare nell’occhio. Infine chiedo a mio padre di disegnarmi sul volto la celebre saetta rossa e blu.  Pronta! Esco vestita e truccata: “tanto sono in macchina, per strada non mi vedrà nessuno”, penso.
Attraverso così la città con Rebel Rebel a tutto volume e la sensazione di vivere finalmente nell’epoca dei miei sogni: “Evviva gli anni 70! Evviva David Bowie!”. Impegnata a cantare tutta la discografia dell’epoca non mi accorgo del cartello che annuncia una deviazione. Lo ignoro completamente e continuo imperterrita il mio viaggio nel tempo. Fino a trovarmi all’imbarco passeggeri del Porto di Genova: attorno a me solo navi e cartelli che indicano destinazioni sconosciute.
Mi vedo già al porto di Algeri a cercare di spiegare che stavo soltanto festeggiando il Carnevale. Mi ritrovo a vagare in una rotatoria, alla ricerca di un modo per tornare indietro. E proprio mentre penso che girerò in tondo per l’eternità, o almeno fino alla fine della benzina, a pochi metri da me vedo un poliziotto. Indugio per un attimo, indecisa se rischiare il carcere o continuare a tentare il moto perpetuo. Alla fine lo raggiungo. Apro il finestrino. Mi guarda. Si sporge nell’auto quel tanto da specchiarsi nei miei pantaloni alluminio. Sembra indeciso se ridere o tirar fuori le manette.

- Mi scusi – balbetto – credo di aver sbagliato qualcosa.
Mi fissa senza sorridere
- Sì, la freccia.
- Dovevo mettere la freccia?
- La freccia in faccia. I colori sono messi al contrario.
E sorride. Belin, che mito di poliziotto. Non sembra neanche vero. Ma... ora che ci penso, non è che era uno travestito da poliziotto???