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    Nove anni di noi, diciannove di “giornalino rosa” e tante novità in arri...

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    La formula della Tavernetta di Chiavari funziona e ora la trovate in centro, nel nuovo locale sotto i portici di Via Entella....

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    ...e deriva da una mitologica tragedia d'amore (sigh!) Eh s&igrav...

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    letture

    00 Luglio 2008 | in categoria/e letture

    Tre pallini rossi e un bollino blu

    Fatti e misfatti recenti e passati del territorio in questo libro affascinante, curioso e illuminante
    Tre pallini rossi e un bollino blu

    Questo mese vogliamo parlarvi di un libro davvero interessante per chiunque voglia conoscere “fatti e misfatti” avvenuti in epoche vicine e lontane in questo tratto di Liguria Si tratta di "Tre pallini rossi e uno blu" di Eugenio Ghilarducci, firma pungente (anche) delle nostre pagine. Il libro sorprende per la varietà di storie che in modi del tutto diversi e spesso ormai dimenticati, hanno attraversato le nostre coste, valli e montagne per portare novità o per cercarle, per fondare nuove città in posti lontanissimi, portando dentro di sé l'amore per la nostra terra.
    Tratto dominante di questa piacevole sorpresa letteraria locale è l'esame della strada dei commerci e dell'emigrazione. Un escursus tra scoperte e riscoperte che ci fanno sorridere, commuovere o riflettere su come certe cose fatichino a cambiare, come un ostinato campanilismo rende difficile sbrogliare problemi di semplice risoluzione. Ne sono un esempio le vicende di Coreglia Ligure vista come "serbatoio di emigranti" (oggi il più piccolo Comune della Fontanabuona con circa duecento abitanti ma che nel 1850 ne contava un migliaio in più) grazie ai ricordi di un autoctono del piccolo Comune: "confini che si racchiudevano a pochi metri da terra, vi era diffidenza per tutti e per tutto, anche per i parenti più stretti. Guai se uno avesse toccato una pietra, un ramo o falciato anche per errore un filo d'erba, voleva dire liti a non finire...eppure noi ragazzi si faceva a gara a rubare i primi fichi del confinante, facevamo la guardia alla lacrima, segno che il frutto era maturo...." e poi l'esame della situazione culturale dell'epoca "i contadini dovevano avere i piedi affondati nella terra e nel letame, liberi solo di riempire stanze, sottoscale e stalle di figli. Se fossero rimasti in vallata sarebbero stati costretti alla povertà e all'ignoranza. I diplomati, i laureati, erano figli dei padroni della terra che la terra non hanno mai zappato....Oggi non sono più i tempi dei signori, quelli non contano più. C'è sempre qualcuno che conta però e oggi sono i politici...non è più questione di zappare la terra, ma c'è magari una gronda da sistemare, un figlio da far raccomandare..ecco perchè in fondo in fondo siamo sempre ignoranti e paurosi".
    Sempre di Coreglia Ligure lo studio di una famiglia, quella dei Noce che prese la via delle "Meriche" stanchi del randagismo lavorativo e dell'acceso campanilismo che non permise neppure di tracciare una carrozzabile tra Carasco e Cicagna "famiglie intere presero a litigare, volarono pugni e bastonate. Qualcuno fu incaricato di girare per le case e raccontare che dove vi erano strade carrozzabili avvenivano razzie banditesche e con queste potevano giungere facilmente famiglie indesiderabili". Così via, verso il Colorado dove "nessuno litigava per creare nuove strade e migliori condizioni di vita e chi si dava da fare veniva rispettato e quando era possibile anche premiato".
    Così fu per Angelo della famiglia dei Noce che messosi in proprio con la creazione di un'industria tipografica iniziò a pungolare le autorità locali per celebrare l'impresa di Colombo e di tutti coloro che con l'intraprendenza del proprio lavoro crearono il nuovo popolo americano. Da qui mosse tanto le acque che grazie a lui si arrivò al "Columbus Day" con un pensiero sempre rivolto "alla sua Fontanabuona, dove ancora la carrozzabile era ferma poco oltre Cicagna e la gente non riusciva a dimostrare il meglio di se stessa" . E ancora un turbinio di nomi, cognomi e fatti, come quelli legati a Cesare Pezzolo di Favale di Malvaro (che non vanta quindi solo i Giannini o i Cereghino, i primi passati alla storia per avere fondato la banca d'America e d'Italia, i secondi come cantastorie durante le persecuzioni Valdesi). Non solo entroterra ma anche migranti costieri.
    Giovanni Batista Pastine emigrato da Rapallo che la leggenda vuole innalzatore in Valparaiso di quella torre civica che pose fine alle fazioni dell'epoca a somiglianza di quella, che a migliaia di chilometri di distanza, fiancheggia la chiesa di Santo Stefano in Rapallo."Beato quindi Perù, beato Brasile, beata Argentina e beato Cile. Una grossa fetta d'America che porta il marchio Tigullio".
    Per restare in tema di viaggi e migrazioni, interessante il capitolo dedicato alla riscoperta delle vie del sale con protagonisti ieri i commercianti, i guerrieri e gli emigranti, "verso il mare, cercando un mondo migliore", oggi gli appassionati della montagna e delle storie di vallata. E in un territorio dedito al commercio, non potevano mancare "Storie d'altri tempi, di mercanti, di regnanti e di briganti" gradevolissimo il racconto del "banco di Bargagli" (dove ancora oggi è visibile l'arco di ingresso su cui sono incisi tre simboli indicanti le riscossioni laiche e quelle ecclesiali).
    Ha quasi dell'incredibile invece il capitolo che narra del gemellaggio linguistico, valido ancor oggi, una vera e propria migrazione a metà: "se passate da Manosque o da Saint-Maime in Francia smettetela di sforzarvi di sfoggiare il vostro francese scolastico ed esprimetevi tranquillamente in dialetto genovese" perchè qui troverete "un doppione dei libroni anagrafici del genovesato e in particolare dell'alta Trebbia" figli dei figli degli emigranti che preferirono emigrare tenendo i piedi appoggiati a terra ad un tiro di schioppo da casa.
    E infine la storia di Carlo Andrea Dondero "che partì dalla Fontanabuona analfabeta, giunto a New York, pulendo calamai di inchiostro e lubrificando macchine da stampa iniziò ad apprendere il saper leggere e scrivere. Per due anni, vivendo diciotto ore su ventiquattro in un ambiente letterario, riuscì ad impiantare una sua tipografia. "I giornali sono la fisionomia e il carattere di chi li fa" scriveva Dondero e la descrizione del personaggio con "l'anima dell'uomo libero contrario alle imposizioni ma rispettoso delle altrui posizioni" sembrano mescolarsi perfettamente al carattere dell'autore di questo libro. Per chi ancora non lo conoscesse ecco un'occasione ghiotta per approfittarne seguendo appunto quel segnavia di "tre pallini rossi e un bollino blu" immersi nel verde dei ricordi di "chi ha fatto" e strizzando l'occhio a quei pochi "che stanno facendo" e di "chi farà".
    Giansandro Rosasco


    “Lascia o raddoppia” lo si deve a Gino Prato,
    emigrato a New York da Statale di Ne, piccolo paese in Val Graveglia
    New York, Bronx. Gino Prato emigrato con “tanta buona volontà portandosi dietro un organino e sognando di potersi comprare un mandolino” dovette imparare a fare il calzolaio e la sera girando a cantare per i locali dell'East River si fece conoscere da tutti tant'è che la “Colombia Broadcasting Company”, una delle più importanti reti televisive, lo fece partecipare al suo quiz musicale permettendogli di vincere una cifra ingente. Gino Prato divenne un Personaggio televisivo (one of the shows most popular guests) e rispondendo alle domande dei giornalisti dichiarò che il suo maggiore desiderio era rivedere la sua “Statale di Ne”. Detto fatto, “arrivò in Italia con un codazzo di fotoreporter e troupe televisiva della Colombia”, la notizia rimbalzò a Roma “dove la televisione italiana era ancora in gestazione. La Rai inviò a New York il suo vicedirettore Aldo Pessante per rendersi conto della bontà del programma televisivo salito alle stelle di audience grazie al Gravegliese che “prese nota di tutto apportando qualche modifica per uno spettacolo tutto italiano. Mancava un presentatore adatto e scelsero un italo americano di nome Mike Bongiorno che sbarcò a Roma per lanciare il nuovo gioco “Lascia o raddoppia?” Gino Prato “era tornato trionfalmente a NewYork e tutta l'America aveva conosciuto in video Statale di Ne, piccolo paese arroccato in Val Graveglia, a poco più di quindici chilometri da Chiavari...”

    Appello alla memoria dello "schiaccia dita" Giuseppe Solari,
    che emigrato da fabbro in Argentina, nel 1889 fondò un ospedale per italiani
    Di particolare nota all'interno del libro il capitolo “Non dimenticata l'origine di Giuseppe Solari” che vede un particolare neo storico nello stradario di Lavagna il quale“cita Michelangelo o Nazario Sauro ma sembra non voler ricordare quella gente della Merica, soprattutto quel Solari con i natali di Cavi che nemmeno diciottenne decise di partire per l'Argentina con in tasca il tesoro di una lira messa assieme da parenti e amici......Lavorando il ferro la sua mano sinistra strinse una pinza e la destra impugnò un grosso martello, dodici ore al giorno sino a quando la stanchezza chiudeva la forbice e il martello piombava sulle dita”. Ebbe tanto a che fare con le rozze infermiere del tempo “ lui che un giorno si l'altro no saggiava per stanchezza il colpo maldestro del martello, che la prima cosa che si mise in testa fu quella di far sorgere un vero ospedale per gli italiani”. Ne esisteva uno piccolo, inadeguato e ne divenne Presidente con il sogno di costruirne uno grande. Riuscì a convincere tutti che il sogno poteva essere realizzato. “Forte della sua autorità convinse gli emigranti a tassarsi ed acquistare l'area edificabile: 500 mila lire del 1889!” E da li parte la storia che nell'epilogo vide lo stesso Solari, “fabbro ferraio, originario di Cavi di Lavagna, emigrato perchè stanco di tenere i piedi nel bagnasciuga in attesa del pescato”, nominato legittimamente primo presidente della nuova struttura sanitaria. Adesso tocca al Comune di Lavagna e agli abitanti del vecchio borgo togliere le ragnatele da questa storia magari aggiornando la cartografia cittadina nella prima occasione possibile.


    Fonte: Eugenio Ghilarducci - Microarts Edizioni © Riproduzione vietata


     


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