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edizione cartacea
10 Aprile 2024 | in categoria/e edizione cartacea
"Ma se ghe penso" - Com'è nata la canzone entrata nella storia
Primi del Novecento, anni di migranti con la nostalgia nel cuore. Ed anche quelli in cui nasceva la canzone dialettale derivata dai trallallero e che sarebbe poi sfociata nella scuola dei cantautori genovesi. In questo contesto nasce la canzone che ancora oggi racconta esattamente quel periodo e al contempo resta attuale per chi si trova lontano da casa. E allora vale la pena ricordare come è nata, chi l’ha scritta e come.
- di Michela De Rosa
Una vita dura, ma sempre sui palchi
Mario Cappello (1895 – 1954) nasce nel quartiere della *Chêullia, poco lontano dalla casa di Paganini (V. Corfole ottobre 2023). Rimasto orfano di padre, deve darsi presto da fare: di giorno svolge umili mansioni alla Banca Russa e la sera va a scuola. Da adolescente inizia a cantare per gli abitanti del quartiere le canzoni napoletane imparate dalla madre. Il suo nome d’arte è Mario Di Napoli. Ottiene una scrittura nell’Accademia Filodrammatica Italiana di Gilberto Govi e così, non ancora ventenne, alterna il lavoro alle esibizioni come attore e cantante in vari teatri di varietà e nei café chantant. Allo scoppiare della Prima Guerra Mondiale viene inviato al fronte: ferito, si ritrova negli spettacoli allestiti per i soldati su palchi di fortuna e negli ospedali da campo. Finisce la guerra e nel 1920 si sposa con Amelia Crema, con cui ha due figli. Ed ecco le due occasioni che lo portano al successo.
La prima è la Festa della canzone genovese al Giardino d’Italia, ideata dallo scrittore Costanzo Carbone: cinque sere dall’8 gennaio 1925. Con questo concorso la rivista letteraria “La Superba” intendeva far nascere a Genova una canzone d’autore in lingua, con l’intento di portare la città al livello di Napoli, Torino, Milano, Venezia, Firenze e Roma. I brani sono scritti dall’organizzazione che chiama come interpreti le cantanti Maria Veneziani, Tullia De Albertis e Liliana Doria e due tenori, Mario Cappello e Gennaro Comite, che però lasciava trasparire l’accento napoletano. Questa fu l’occasione per Mario di farsi conoscere, ma quella fondamentale arriva pochi mesi dopo.
“Se ghe penso” è subito un successo
Al Teatro Orfeo viene organizzato uno spettacolo con le canzoni presentate alla Festa e altri nuovi brani: tra queste c’è “Se ghe penso”. Il titolo non aveva ancora la particella “Ma”, che non è chiaro in quale circostanza sia stata aggiunta. Si fanno venti repliche e la seconda parte delle serate inizia con il brano di Mario che narra la storia di un genovese emigrato in Sudamerica in cerca di fortuna, evento molto comune tra la fine del 1800 e l’inizio del 1900: ritrovatosi a pensare alla sua città natale, sopraffatto dalla nostalgia, decide di farvi ritorno, contro il volere del figlio.
(Ma) Se ghe penso
«O l'êa partîo sénsa 'na palanca,
l'êa za trent'anni, fòrse anche ciù.
O l'àia lotòu pe métte i dinæ a-a bànca
e poéisene un giórno vegnî in zu.
E fâse a palassinn-a e o giardinétto,
co-o ranpicante, co-a cantinn-a e o vin,
a branda attacâ a-i èrboi, a ûso letto,
pe dâghe 'na schenâ seja e matìn.
Ma o figgio o ghe dixeiva: "No ghe pensâ
a Zena cöse ti ghe vêu tornâ?!"
RITORNELLO
Ma se ghe penso alôa mi veddo o mâ,
véddo i mæ mónti e a ciàssa da Nonçiâ,
rivéddo o Righi e me s'astrenze o cheu,
véddo a Lanterna, a Cava, lazù o Meu...
Rivéddo a-a seja Zêna ilûminâ,
véddo la-a Fôxe e sento franze o mâ
e alôa mi pénso ancón de ritornâ
a pösâ e òsse dôve ò mæ madonâ.
O l'êa passòu do ténpo, fòrse tròppo,
o figgio o l'inscisteiva: "Stémmo ben,
dôve t'êu andâ, papà?.. pensiêmo dòppo,
o viâgio, o mâ, t'ê vêgio, no convén!"
"Òh no, òh no! mi me sento ancón in ganba,
son stùffo e no ne pòsso pròpio ciù,
L'è in pö che sento dî: señor, caramba,
mi vêuggio ritornâmene ancón in zû...
Ti t'ê nasciûo e t'æ parlòu spagnòllo,
mi son nasciûo zeneize e... no me mòllo!"
(RITORNELLO)
E sénsa tante cöse o l'é partîo
e a Zêna o gh'à formòu tórna o seu nîo».
La canzone si apre con il riferimento alla povertà del protagonista, partito completamente squattrinato (sensa ûn-a palanca) per le Americhe senza sapere cosa lo aspettava nel nuovo continente (E sensa tante cöse o l’è partïo, senza tanti indugi è partito). Dopo essersi sistemato e aver messo da parte i soldi, pian piano subentra la nostalgia di casa e la voglia di tornare a rifarsi una vita (O l’aveiva lotòu pe mette i dinæ a-a banca e poèisene un giorno vegnî in zù e fâse a palasinn-a e o giardinetto). Questa canzone diventa così l’inno degli emigrati e più in generale dell’attaccamento dei genovesi alla propria città e dei liguri con la regione. L’accoglienza fu calorosa e in breve la canzone divenne un inno d’amore e nostalgia per i genovesi, soprattutto negli anni in cui l’emigrazione in America Latina era molto forte.
La tournée in Sudamerica
La fama di Cappello cresce rapidamente: il trentunenne viaggia cantando per tutta l’Italia. Un giorno lo nota Sergio Corsanego, rappresentante a Genova della casa discografica tedesca Parlophon. Cappello si ritrova a Berlino a incidere alcuni 78 giri destinati al mercato dell’America Latina, dove più forte era la presenza di immigrati italiani. Il successo è strepitoso e arriva la prima tournée in Sudamerica. Cappello si imbarca a Genova sul transatlantico Conte Verde accompagnato dall’attore, amico e impresario Attilio Castagneto, che l’anno prima aveva già portato a in Argentina Gilberto Govi. Così il 30 luglio 1927 al Teatro Marconi di Buenos Aires, Cappello canta trentacinque brani in genovese e molti altri in napoletano, italiano e spagnolo.
Le sue canzoni esprimevano una vita semplice e umile, come nella Canson da Chêullia: "Cöse son queste palanche, cöse servan a ûn vegetto se a so casa, meschinetto, forse o no-a veddiä mai ciû?" (Cosa sono questi soldi, cosa servono a un vecchietto, se la sua casa, poverino, forse non vedrà mai più?). L’accoglienza è tale che rimane in Argentina quattro mesi, tenendo molte rappresentazioni in teatri, feste, cene e incontri con connazionali, nonché alla radio.
In viaggio sempre con il pesto
Cappello era molto legato a Genova e partiva per i suoi viaggi attraverso l’Oceano Atlantico portando con sé vasetti di pesto e mazzi di basilico genovese per prepararlo durante la navigazione. Nel 1944, durante la seconda guerra mondiale, cantò coraggiosamente Zena sata in pë (Genova salta in piedi, Genova raddrizzati) di forte carattere anti-nazista. Nel dopoguerra ebbe un nuovo grande periodo di popolarità quando la stazione radiofonica di Genova dell’EIAR scelse Ma se ghe penso come sigla di una popolare trasmissione: A Lanterna. Morì, cinquantanovenne, a Genova e la sua tomba si trova nel cimitero monumentale di Staglieno.
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