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09 Luglio 2011 | in categoria/e attualita

Del mio altarino, dei giochi di allora e di quando scoprimmo il segreto per coltivare i porcini

immagine da "Il gioco delle biglie sulla spiaggia" di Gianni Micheloni

Qualche numero fa vi ho raccontato di quando ho avuto la difterite. Quando tornai dall’ospedale ebbi la soddisfazione di sapere chi aveva rubato la cioccolata a suor Emilia ma io non vedevo l’ora di tornare per rivedere il mio ‘altarino’ con le miniature degli arredi e tutto il resto. Vi ricorderete infatti come un benefattore, vedendomi nel parco del collegio intendo a giocare ‘al piccolo prete’ (il mio sogno era dire messa da grande), si commosse tanto da fare realizzare appositamente una riproduzione in scala di un altare con tutto il necessario. Il regalo più unico e bello che abbia mai ricevuto in tutta la mia vita! Ebbene, non vedevo l’ora di rivedere il mio amato altarino, ma... alla mia entusiasta richiesta mi fu risposto con freddezza che era stato bruciato per timore di contagio. Distrutto! Avevo solo 11 anni ma fu la prima grande delusione della mia vita. Passò il tempo e dopo cinque anni di rigide regole, di costrizioni, di campanelli, dopo tante privazioni ecco finalmente la libertà. Purtroppo l’incontro con mio padre  fu doloroso perché non essendoci visti per anni lui non conosceva me né io lui. Per fortuna mio fratello maggiore Mario mi prese sotto la sua protezione: ero il suo cagnolino, lo seguivo ovunque e talvolta doveva usare le maniere forti quando aveva impegni che io non comprendevo e mi scacciava. Per il resto ero come un uccello che rimasto in gabbia per troppo tempo improvvisamente ritrovava la libertà e si librava  nel cielo infinito. Fu un’estate meravigliosa. Pur cercando di rendermi utile, vagavo per i campi e nei boschi, facevo esperienza di colture e di ortaggi, li bagnavo con la “sigogna” un “mazzacavallo” dalle lunghe antenne riposanti sopra un palo biforcuto di sostegno con un secchio che attingeva l’acqua in basso per portarla alle colture di una fascia più in alto.                                              
Quante esperienze in quel periodo. Il contatto con la natura mi fece amarla, studiarla, apprezzarla. Mi capitarono, come ebbi modo di raccontare in passato, fatti per me inusuali che sono  rimasti impressi nella mia memoria. Ricordo quel giorno che con mio fratello Mario, mi recavo in Migliarina per rimuovere l’erba falciata il giorno prima in modo che seccasse bene. Attraversato un boschetto, in una piccola radura c’era un vecchio melo che il vento aveva spezzato e dal cui tronco proveniva un pigolio insistente e…implorante. Mio fratello, monello esperto di uccellagione e di pesca mi disse subito “E’ una biscia oxellinna che mangia gli uccellini”. Corsi verso l’albero senza precauzione alcuna spinto dal desiderio di evitare una piccola tragedia, normale in natura. Rimasi senza fiato vedendo guizzare da un’altezza di oltre un metro e mezzo un lungo serpente che cadde con un tonfo e rapidamente sparì nell’erba. L’uccellino implume era stato salvato dal nostro intervento e continuava a pigolare.
Andavo a fare il bagno con gli amici nei “laghi”, pozze o avvallamenti più o meno ampi, più o meno profondi, si facevano tuffi dagli scogli, si sguazzava nell’acqua fra grida di gioia. Per me era sempre piacevole vagare spensierato nei prati e nei boschi, pescare nei torrenti con la canna e anche fiocinare le anguille che abbondavano sotto le pietre nell’acqua bassa. Ricordo quando andavamo a giocare  nel boschetto sotto la chiesa con le biglie di terracotta a “gaucio”, un buchetto nella terra che dovevamo raggiungere  per poi colpire la biglia avversaria con un gesto molto particolare e non facile. Talvolta si giocava alla guerra e ci si mimetizzava con frasche di castagno. Ricordo quella volta che approfittando delle frasche già tagliate e sparse sul terreno svelammo il segreto del proprietario che con una tecnica particolare riusciva a coltivare funghi porcini. L’esplosione di rabbia ci raggiunse facendoci fuggire per ogni dove. Scoprimmo in seguito che il buon Domenico, proprietario del boschetto, con felice intuito e in condizioni particolari inondava il bosco, lo copriva con  rami di castagno ed effettivamente dopo un certo periodo raccoglieva i preziosi miceti. Di questo segreto era gelosissimo e l’averlo  noi scoperto casualmente lo costrinse a stare in campana perché se  qualche volta si assentava c’era chi ne approfittava.   
Continua sul prossimo numero
Vittorio Rosasco
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Tratto da CORFOLE! del 7/2011, con 25.000 copie gratuite: la testata più diffusa del Levante © Riproduzione vietata

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Tags: cultura e tradizioni