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Nove anni di noi, diciannove di “giornalino rosa” e tante novità in arri...
storia locale
di Vittorio Rosasco | 01 Maggio 2010 | in categoria/e edizione cartacea storia locale
RANGHINELLI - IL PICUN, LA TAISCELLA E I LADRI DI GALLINE
Un mattino, mentre mi trovavo presso l’Ospedaletto di Monleone per uno dei periodici controlli sanitari (data l’età e l’innesto di pezzi di ricambio c’è bisogno di continui "tapulli") incontrai una cara signora, madre di quattro figli, che mi salutò e dopo aver chiaccherato un po’ del più e del meno mi disse: "Maestro, leggo con piacere i suoi racconti sul ‘Giornalino rosa". Perché non scrive un libro,lo fanno tutti!". Preso alla sprovvista, imbarazzato, ho cercato di minimizzare e non ho avuto il coraggio di dire che in realtà da lungo tempo ho raccolto appunti, episodi, racconti, sensazioni, emozioni, aneddoti minimi o importanti che hanno accompagnato la mia vita col vago intento un giorno di farlo.
Avevo persino pensato al titolo ‘Ranghinelli di vita’ in ricordo di quando ragazzo andavo con gli amici a raccogliere racimoli d’uva, dopo la vendemmia, nei verdi filari. Talvolta erano solo pochi acini, tal altra erano bei grappoli nascosti tra le foglie. Dopo tante perplessità ho deciso di raccontare, in modo semplice e sincero, le conquiste, le delusioni, le gioie, i dolori, i fatti salienti e anche quelli minimi della mia lunga vita frugogliando fra situazioni curiose o sapide, importanti o marginali esaltando piccoli particolari come sono solito.
In sostanza, come diceva Umberto Broccoli in una nota trasmissione radiofonica: appunti, spunti e note colorate!. Vi farò sorridere, ridere, talvolta vi lascerò perplessi, toccherò la vostra sensibilità, qualche volta vi commuoverò o vi farò riflettere, raccontando i grandi mutamenti e i progressi stratosferici in oltre ottanta anni di vita: certe situazioni vi potranno sembrare paradossali ma vi assicuro sono tutte assolutamente vere. Non scriverò un libro proprio perché lo fan tutti, cara signora, ma continuerò ad affidare le pagine di vita vissuta a questo simpatico giornale dedicandole a tutti i miei alunni e ai miei figli, che molti particolari della mia vita non conoscono.
Cominciamo con l’inquadrare gli eventi nel tempo.
Tra le vecchie canzoni genovesi ce ne sono alcune meravigliose: "Ma se ghe penso" narra di un emigrato in Sud America che non resiste alla nostalgia della sua terra e torna a Genova; in "Picun dagghe cianin" si raccomanda al piccone di essere leggero nella distruzione delle vecchie case di Genova antica; Collia dice: "…me ricordo quando a porta a s’arviva cu spaghetto…" (mi ricordo quando la porta s’apriva con lo spaghetto). Ebbene, sì, ho vissuto quando le porte non avevano serrature ma un congegno chiamato "taiscella" formato da un’asticella legata ad uno spago che, attraverso un buco nella porta permetteva di alzarsi e scendere per incastrarsi in un gancio di legno.
Questo congegno l’avevano sia la porta di casa che quella della stalla e della cantina. Non c’era il timore dei ladri, solo il pollaio veniva accuratamente chiuso col lucchetto perché le galline erano una risorsa importante e giravano i ladri... di polli. Una fobia molto comune era invece rivolta agli zingari che rubavano sì qualche pentola o qualche treppiede lasciato incustodito nell’aia ma perché si diceva rubassero i bambini cosicché alla loro vista si correva a nasconderci come facevano gli abitanti della costiera all’apparire dei pirati.
I commenti dei lettori
aurora:
per chi vive all'estero questi racconti toccano il cuore
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