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    storia locale

    di Vittorio Rosasco | 01 Luglio 2007 | in categoria/e ecologia edizione cartacea storia locale

    RANGHINELLI - Di quando a scuola si portavano animali e funghi, del documentario girato sul terrazzo e di quella volta che una vipera...

    RANGHINELLI - Di quando a scuola si portavano animali e funghi, del documentario girato sul terrazzo e di quella volta che una vipera...

    In seguito agli articoli dedicati alle vipere ho ricevuto molte manifestazioni di apprezzamento, sia da coloro che ben conoscevano l’argomento, per aver fatto chiarezza su falsi miti e leggende, sia da chi era completamente avulso da questi temi, perché attraverso queste piccole nozioni si è avvicinato al contatto con la natura. Parlando con queste persone mi è capitato di raccontare alcuni aneddoti che ho vissuto personalmente, e visto l’interesse suscitato nei miei interlocutori ho pensato di condividerli con voi su queste pagine. Durante gli anni di insegnamento ho sempre cercato di avvicinare i miei alunni alla realtà delle cose portando in classe ogni specie di animali, di funghi, di minerali ecc. Ho portato anche le vipere vive, naturalmente prendendo tutte le precauzioni del caso. I bambini guardavano sempre con stupore e curiosità, e le lezioni diventavano un gioco alla scoperta della natura. Spesso venivo contattato dai genitori degli alunni o da amici e conoscenti per diagnosticare i rettili che venivano uccisi, alcuni dei quali maciullati, altri in condizioni migliori che io preparavo e mettevo in vasi di vetro con alcool o formalina per arricchire il nascente Museo.

    A tal proposito ricordo un fatto...
    Erano da poco finite le scuole e venni chiamato dalla mamma di una carissima alunna che mi disse: "Maestro, mio marito ha catturato una vipera viva, è dentro una bottiglia… la vuole?" In men che non si dica, col mio Vespone raggiunsi Neirone. Era un esemplare veramente notevole e che attraverso il vetro, dalla lunghezza, avevo giudicato una femmina (ricordiamo che la femmina è alquanto più lunga del maschio).
    Deposta in un rettilario di plastica trasparente potevo ammirare nella sua bellezza quel rettile che incuteva tanta paura. C'era però il problema della nutrizione… Sapevo che le vipere vivono soprattutto di topi e piccoli mammiferi, ma come procurarmeli? Avevo a disposizione solo grilli e cavallette che riuscivo facilmente a procurarmi ma che lei non degnava di uno sguardo. Casualmente, un giorno, in un secchio restarono prigioniere due lucertole ed io, anche se la cosa mi procurava qualche scrupolo, provai a buttarle nel rettilario. Il mattino successivo, di buon'ora andai a vedere che cosa era successo.
    Meraviglia! Una lucertola non c'era più. Alla sera era scomparsa anche l'altra. Avevo risolto il problema dell'alimentazione della mia vipera! Si trattava di fare ora quello che da ragazzo, anche se inconsapevolmente crudele, facevo. Con un laccio fatto di un filo d'erba (era una mia specialità catturare lucertole!) provai e riprovai: niente. Non c'era verso di catturarne una che è una… Raccontando il fatto ad un amico, fu lui ad offrirsi di procurami le lucertole per il mio rettile.
    Spesso osservavo la vipera mangiarsi le lucertole di Giorgio e decisi di filmare il tutto anche con un ramarro e un orbettino. Ne venne fuori un documentario favoloso: il miracolo della desquamazione, il ramarro che faceva razzia di grilli e cavallette, l'orbettino che divorava lombrichi.
    Ma la vipera non toccò né il ramarro né l'orbettino dal che dedussi (non so quanto ci sia di scientificamente accertato) che questi animali non sono di gradimento delle vipere. Osservai il metodico rituale della vipera che colpiva la lucertola, se ne disinteressava per una buona mezz'ora, poi ispezionava tutto il corpo, infine apriva le fauci e, partendo dalla testa cominciava ad inghiottire la preda ancora viva, seppur intontita dal veleno.
    Un'altra esperienza la feci quando catturai il bel esemplare di vipera berus (marasso palustre). Ogni anno, prima di iniziare le scuole, andavo con la famiglia in Val di Fassa, Trentino, dove trascorrevamo giorni bellissimi, abbeverandoci nei ruscelli dalle fresche e limpide acque, raccogliendo fiori nei prati, rispettando rigorosamente le leggi locali, fiori che facevo seccare tra fogli di giornale e che, tornando a casa, assemblavo in simpatici quadri.
    Ma il maggior tempo lo trascorrevo nei boschi di abeti in cerca di funghi. Dei tre figli, Maristella era quella che maggiormente aveva preso il "virus" ed era diventata veramente brava! Per trovare i funghi ci vuole un senso innato, passione, concentrazione, bisogna scrutare attentamente il terreno con passo lento, servirsi sempre di un bastone per smuovere dolcemente le foglie e l'erba e, come ho insegnato ai miei figli, per far sentire le vibrazioni del terreno ad eventuali rettili ed evitare così pericolose sorprese. Un pomeriggio mi recai con Maristella nel bosco che mia moglie aveva denominato "la miniera dei funghi" perché anche lei, non abituata alla ricerca, riusciva a trovarli. Ormai era consuetudine che ad ogni porcino trovato si facesse un fischio. La stagione era propizia e i fischi si susseguivano con una frequenza incredibile. Ad certo punto la mia attenzione si fermò su di un rettile attorcigliato vicino a un cespuglio. Maristella fischiava, fischiava... Preoccupata dal mio silenzio, non essendo molto lontana, convinta che fossi capitato, come succede, in una zona "morta" mi gridò a mezza voce: "Papà, vieni qui, ce ne sono tanti!"Risposi:" Non posso! C'è una vipera, cerco di catturarla viva. E' certamente una vipera berus, non ce l'ho" nel Museo". Il rettile non si muoveva e sembrava guardarmi con aria di sfida. Un po' titubante le misi un sacchetto di plastica vicino e cercai di spingerla dentro con il bastone. L'operazione riuscì più facilmente di quello che pensassi e tutto felice raggiunsi mia figlia. Tornati alla macchina la deposi nel cofano, ma quando raggiunsi l'albergo m'accorsi che il sacchetto era bucato ed ebbi un brivido. Per fortuna il rettile si era rannicchiato nell'angolo opposto…
    Adesso fa bella mostra di sè nel reparto di Curiosità Naturalistiche ed io racconto sempre con piacere questo aneddoto alle scolaresche che vengono a visitare il Museo. Ed è bello ritrovare lo stesso stupore e curiosità dei miei alunni di allora...


     


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