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storia locale
di Vittorio Rosasco | 01 Febbraio 2010 | in categoria/e edizione cartacea storia locale
RANGHINELLI - La Valfontanabuona: del tripudio di prunus triloba o serrulata, ma anche di quando il gelato costava 5 centesimi e...del mistero dei nomi dei paesi .
Voglio raccontarvi questa valle, la mia valle, dove sono nato e della quale, a costo di apparire patetico confesso di essere... innamorato. Ve la voglio raccontare ‘con parole mie’, come direbbe Umberto Broccoli in una bella trasmissione radiofonica, considerando e mescolando gli aspetti più vari: agiografici, orografici, naturalistici, storici, anedottici, episodici con riferimenti ad usi e costumi del tempo passato spesso remoto. E’ particolare il fatto che si estenda parallela alla costa e vicinissima al mare con conseguente mitezza del clima. Prende il nome dalla “de fonte bono” di Favale di Malvaro e le colline che la formano, alla cui base scorre il meraviglioso torrente Lavagna che nasce dal monte Lavagnola e descritto da Dante Alighieri nelle Divina Commedia come “Fiumana bella”, sono ricoperte da castagneti e da molte altre piante della flora mediterranea che con l’evolversi delle stagioni assumono aspetti variamente cangianti.
In primavera, prima lentamente poi con un’esplosione, si ammantano di verde tenue che gradatamente si rafforza nel verde scuro. Come per incanto compaiono ampie macchie bianche: è la fioritura prima del frassino poi delle acacie con i fiori a grappoli profumatissimi che, per chi non lo sapesse, sono ottimi da friggere nella pastella. C’è aria salubre e profumata, frescura nella stagione estiva, al termine della quale nascono funghi in abbondanza. In autunno la Fontanabuona diventa tutta una tavolozza di colori: giallo chiaro e intenso, rosso, vermiglio, bruno tenue, verde ruggine: uno spettacolo incomparabile. Il sottosuolo ha un’ossatura fatta quasi interamente di ardesia, la pietra nera che nel tempo è stato letteralmente ‘oro’ anche se oggi ha perso un po’ d’ importanza. Poiché i fontanini amano le cose belle come i fiori, curano i giardini e le aiuole attorno alle linde case con siepi di evominus, lauroceraso, pitosforo.
Si possono ammirare fin dai primi mesi dell’anno cascate di glicine, qua e là piante fiorite di magnolia soulangeana, di prunus triloba o serrulata, chiazze rosso-violaceo di sedum spurium, di violaciocche mentre nei prati c’è il giallo splendente delle ranuncolacee. Via via nel tempo fioriscono forsizie, ortensie, dalie, rose, eliopis, non infrequenti i cespugli di cortaderia selloana detta anche erba delle Pampe che innalzano al cielo i bianchi pennacchi.
Sui terrazzi o alle finestre vasi di azalee, gerani, petunie, begonie, e soprattutto cascatelle di surfinie di vari colori. La Fontanabuona di oggi ha di negativo un traffico caotico che ha avuto un periodo di tragici incidenti stradali. In un’indagine fatta da me nel 1988 e relativa alla media e alta Fontanabuona (stazioni dei Carabinieri di Cicagna e Gattorna) ha dato risultati molto pesanti: incidenti gravi con feriti e morti 224; incidenti senza feriti 279; morti 26; giorni di prognosi 2653 talchè questa strada era stata denominata “strada della morte”. Ma io me la ricordo quando, nella prima metà del secolo scorso era silenziosa, si sentiva il gorgoglio dei ruscelli, delle cascate, lo stormir del vento.
Il silenzio veniva saltuariamente rotto da grida: “Strassè!! Strassè!” oppure “Mulitta! Donne ghe u mulitta!”: erano il grido dello straccivendolo e dell’arrotino che affilava coltelli e forbici e aggiustava ombrelli. E non posso dimenticare il carretto del pescivendolo che partiva da Chiavari carico di cassette di pesce conservato nel ghiaccio, attirando l’attenzione al grido: “Belle donne pesci, pesci freschi, sardinne (sardine) anciue (acciughe)”. Era sempre di venerdì perché la prescrizione della Chiesa “Non mangiar carne al venerdì” era rigorosamente attuata, anche se valeva soprattutto per i benestanti perché la maggior parte della popolazione la carne se la poteva permettere solo qualche volta… all’anno. A Gattorna arrivava sempre tardi, solo quando la pescagione era stata abbondante. C’era il vantaggio che volendo smaltire la rimanenza il prezzo scendeva ulteriormente! D’estate era atteso, specie dai bambini, un altro carretto caratteristico. Il grido era “Gelati!!....gelati !!...” Un cono piccolo costava 5 centesimi, quello medio 10, quello grande un “caburin” cioè 20 centesimi. Chi se lo poteva permettere era guardato con curiosità e…invidia. Allora tutti parlavano in dialetto che differiva da paese a paese e talvolta da frazione a frazione dello stesso comune. Per esempio a Gattorna e solo a Gattorna era completamente abolita la lettera “v” Si diceva “egni” anzichè “vegni” (vieni) “ittoio” per Vittorio, “ento” per vento ecc., cosicché un gattornese o gatturnin che dir si voglia veniva subito riconosciuto. E siccome ho iniziato il discorso sulle curiosità dei tempi passati voglio ricordare che i rapporti fra i vari paesi e anche fra le varie frazioni dello stesso comune non erano proprio tranquilli: le diatribe erano frequenti e avvenivano anche spedizioni punitive durante le sagre paesane o nelle sale da ballo per il carnevale. Le risse non erano infrequenti e talvolta trascendevano in accoltellamenti.
Partivano quasi sempre da sfottò con gli epiteti propri che ciascun paese aveva da tempo immemorabile. Ne cito alcuni ricordando Genova “Zeneize risu reu strense i denti e parla cièu” (genovese riso rado stringe i denti e parla chiaro), Gattorna “meie cotte” (mele cotte), Canevale “uchi” (allocchi), Chiavari “capùn” (cappone), Coreglia “baggi” (rospi), Favale “picossi” (scure, accette), Lorsica “mangiapelucchi” (mangia batuffoli), Moconesi “becchi” o “crae” ( caproni o capre ), Ognio “porchi” (maiali,) Orero “asci” (asini), Soglio “coppette” (tazze), Vallebuona “gatti”, Neirone “nainè”, Uscio “goscetti” (che hanno il gozzo), Piandeipreti “bagun” (coleottero), Calvari “carvaiolli mangia batolli” (il batollo è un taglierino misto di farina bianca e di castagna), Cichero “cichelan largu de bucca e streitu de man” (largo di bocca e stretto di mano), infine Portofin “unde pe’ impì e meizzanne e donne ghe mettu a guscia e i ommi i ghe mettu u pin” (dove per riempire le melanzane le donne ci mettono il guscio e gli uomini il ripieno).
Erano modi di dire affibbiati per scherzo (e per scherno). Alle volte alcuni prendevano posizioni paradossali. Mio padre ricordava un episodio divertente. In occasione dell’installazione delle campane sul rinnovato campanile di Gattorna ci furono discussioni circa il posizionamento delle stesse. Quelli del quartiere Chinelli (sembra che avessero maggiormente contribuito) pretendevano che la campana più grande fosse rivolta verso il proprio quartiere. Il capo della fabbriceria che aveva molto potere operò diversamente facendola sistemare verso il proprio. Ci fu una lotta verbale molto accanita che si concluse con un curioso episodio: gli abitanti dei Chinelli costruirono un’impalcatura dove sistemarono una campana che suonavano a piacimento!
E se mi permettete voglio proporre a voi un quesito curioso che un acuto mio amico ha proposto a me e al quale non ho saputo rispondere. Nel prefisso, nel suffisso o all’interno dei toponomi della Fontanabuona c’è spesso il nome di un animale: Gattorna, Monleone, Lorsica, Piandeiratti, S.Colombano, Cicagna, Tasso, Tassorello, Canevale, Corsiglia. E’ un caso come sostenevo io o c’è qualche misteriosa ragione? Che ve ne pare?
I commenti dei lettori
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