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    storia locale

    16 Ottobre 2023 | in categoria/e storia locale

    Di quando Genova negò la sepoltura a Paganini

    Di quando Genova negò la sepoltura a Paganini

    Il 27 ottobre 1782 in una modesta casa di un quartiere popolare genovese, nasceva il più grande violinista di tutti i tempi; ma il suo rapporto con la città è da sempre tormentato
    Il violino che perse al gioco è ora il più prezioso del mondo ed è conservato a Genova

     

    Affascinante, stravagante, talentuoso e “ultraterreno”. Perché la sua bravura con il violino non sembrava di questo mondo. Niccolò Paganini è uno degli artisti più influenti della storia. Grande direttore d’orchestra, sommo compositore, immenso esecutore e improvvisatore, ottenne ovunque un successo clamoroso. “Mai fu dato di ascoltare un fenomeno del genere!”, sostenne Schumann, mentre e Lizst lo considerò “insuperabile”. Idolatrato anche da Beethoven, Chopin, Schubert e Berlioz, ad oggi resta un genio incontrastato. Un genio genovese, che la città non ha trattato benissimo.

    RADICI MODESTE MA GRANDI ASPETTATIVE

    Nasce il 27 ottobre 1782 in Vico del Colle Gattamora, un caruggio di quartieri popolari che oggi non esistono più. Il padre Antonio era un imballatore di merci al porto e suonava il mandolino. Fu lui a iniziare Niccolò prima al mandolino, poi alla chitarra e al violino. Più che la passione, usò la mano pesante: se lo trovava a fare qualcosa di diverso dall’esercitarsi, lo puniva severamente.

    IL SOGNO PREMONITORE DELLA MADRE e LA LEGGENDA DEL PATTO COL DIAVOLO

    Quando il bambino ha cinque anni, la mamma Teresa Bocciardo sogna un teatro in fiamme con suo figlio in cima alle macerie a suonare una musica trionfante, con Giuseppe Tartini (autore della sonata Il trillo del diavolo) che lo dirige assistito da un demone rosso. Poi appare un angelo e la donna gli chiede di far diventare il figlio il più grande violinista di tutti i tempi e l’angelo promette che il suo nome sarebbe entrato nell’Olimpo degli uomini straordinari. L’anno uccessivo accade un altro fatto “soprannaturale”. Niccolò viene colpito da un’encefalite morbillosa con crisi catalettiche e un giorno viene considerato morto; ma durante i preparativi per le esequie la madre nota un movimento del piccolo corpo. Si ritenne un evento miracoloso, ma nel tempo alimentò una serie di leggende legate alla sua maestria col violino e a un patto con il diavolo.  Nel tempo, le malattie e ancor più le cure incisero sul suo aspetto: magrissimo, pallido, dinoccolato, capelli lunghi, lineamenti spigolosi e abiti sempre e solo neri. Lui stesso contribuì poi al suo alone sinistro, arrivando a comporre la composizione “Le Streghe”, che diventerà una delle più amate dal pubblico. E arrivava ai suoi concerti su una carrozza nera trainata da quattro cavalli neri.

    UN TALENTO ECCEZIONALE

    Paganini era praticamente un autodidatta, in quanto i suoi due maestri furono di scarso valore e ricevette poche lezioni di composizione. Eppure, all’età di 12 anni già si faceva notare nelle chiese di Genova. A 14 anni si ammalò di polmonite e venne curato con il salasso, che lo costrinse al riposo nella casa paterna in val Polcevera dove studiò anche dodici ore al giorno su un violino regalatogli da un ammiratore di Parma (V. box).
    A 19 anni viene chiamato a suonare a una messa pontificia a Lucca. L’avvenimento fu tale che viene riportato negli Archivi di Stato: protagonista delle cronache è un giovane giacobino genovese noto per essere un prodigio dello strumento. Doveva suonare solo un paio di sezioni, ma resta sul palco 28 minuti, un tempo impensabile per un semplice ospite. Mostra virtuosismi senza eguali e le persone restano esterrefatte (V. box).




    In breve tempo diventa virtuoso anche di chitarra e scrive molte sonate, variazioni e concerti. A 23 anni è a Lucca, alla corte della principessa Elisa Bonaparte Baciocchi, sorella di Napoleone: suona su di un violino al quale sono rimaste solo due corde. La principessa lo sfida a suonare su una corda sola. E su una corda suonò la propria sonata intitolata a Napoleone, lasciando tutti a bocca aperta.
    A Milano, a 31 anni, i critici lo acclamano primo violinista al mondo. Fiumi di inchiostro, recensioni entusiastiche, clamore e sensazionalismo portarono il suo nome in tutta Europa. Gli uomini cominciarono ad acconciare i capelli “alla Paganini” e i pasticceri preparavano nuove creazioni in suo nome. A 35 anni, suona a Roma, suscitando una tale impressione che viene invitato a Vienna. Invece va a Palermo, dove nasce Achille (1825-1895), il figlio avuto con la cantante comasca Antonia Bianchi. Paganini prova affetto per quel bimbo illegittimo e gli dà il cognome attraverso le sue conoscenze altolocate.
    Finalmente va a Vienna. Al primo concerto erano in pochi, quasi tutti violinisti. Che restano impressionati. L’imperatore Francesco II lo riempie d’oro e così altri sovrani facendogli battere ogni record di guadagno: in pochi mesi aveva incassato il quadruplo di Schubert in dodici anni.  La banconota da 5 fiorini – una bella cifra – veniva talvolta chiamata «Paganinerl». Il virtuoso genovese aveva conquistato il mondo. Tornato a Genova compone i famosi Capricci per violino e una sonata per la grande viola, uno strumento che aveva fatto produrre e andato perduto. Si alterna tra Parigi e l’Inghilterra e nel 1833 acquista nei pressi di Parma la grande Villa Gaione, con l’intenzione di trascorrervi i periodi di riposo tra una tournée e l’altra, proprio come le grandi star.

    MORTO PER LE MEDICINE DELL’EPOCA

    Paganini gode di discrete condizioni di salute sino all’età di 38 anni quando è colto da tosse cronica e cala di peso. Un altro medico, a conoscenza delle sue frequenti relazioni occasionali, fa diagnosi di sifilide e gli prescrive mercurio per bocca e oppio per sedare la tosse: oltre a non curarlo, gli causano la caduta dei denti e disturbi intestinali. Ma per paura di peggiorare, Paganini continua ad assumere il mercurio. Indebolito, viene colto da febbre catarrale con forte tosse, crisi di soffocamento e dolori alla gola; i medici sospettano una laringite tubercolare e gli prescivono ancora mercurio. L’amico Dr. Benati gli impone di interrompere la cura e fa effettuare da un collega esperto nell’uso di un nuovo strumento, lo stetoscopio, una ascoltazione che esclude definitivamente la tubercolosi. Ma l’intossicazione da mercurio produce anche un tumore della mandibola. Tutto questo lo porta alla depressione e, da musicista impetuoso e sicuro di sé, diviene solitario e apatico. Diventato diffidente della medicina ufficiale, si lascia affascinare dal purgante di Leroy, composto da estratti vegetali contro l’intossicazione cronica da mercurio e la sifilide. Ma corrode l’esofago, creandogli difficoltà a deglutire. Nel 1837, a causa di una infezione delle vie urinarie va in ritenzione acuta. Si fa portare a Nizza dall’amico Conte Ilarione Spitalieri dove, nella primavera del 1840, compaiono gonfiore agli arti inferiori per insufficienza renale e forti cefalee; divenuto afono, comunica col figlio Achille, quasi quindicenne che gli è sempre accanto a mezzo di bigliettini. Il pomeriggio del 27 maggio 1840 spira tra le sue braccia, a quasi 58 anni.




    LA SEPOLTURA NEGATA

    Ormai morente, senza voce e tremante, fatica a farsi capire: il prete venuto a dare l’estrema unzione non capisce e si stizzisce, segnalando che “Paganini ha rinnegato i sacramenti”. Non era vero, ma il danno è fatto: il vescovo vieta la sepoltura in terra consacrata. Il conte di Cessole, grande amico e tutore del figlio, incarica uno specialista per imbalsamare la salma che rimane per due mesi nella stessa stanza, in una bara con una lastra di vetro all’altezza del volto. Una folla adorante marcia in pellegrinaggio per vegliare la salma e un commerciante di oggetti usati offre dei soldi per poter esibire il corpo in Inghilterra. Le autorità sanitarie ordinano la rimozione del corpo che viene sistemato nella cantina del conte in attesa di spedirlo a Genova. Nel frattempo Achille con alcuni amici del padre faceva di tutto per far revocare il decreto del vescovo con petizioni alle autorità genovesi e al ministero degli Interni, ma niente da fare. Anzi, Stato e Chiesa proibirono anche «qualsiasi articolo relativo a Paganini» e i necrologi vennero pubblicati solo all’estero.




    IN CERCA DELL'ETERNO RIPOSO

    La salma viene trasferita a Villefranche-sur-Mer, in un lazzaretto usato come deposito del pesce. Ma gruppi di curiosi cominciarono a sfilare nei pressi della bara, così viene seppellito accanto a un oleificio, i cui rifiuti però imbrattarono la tomba. Nel 1844 il re Carlo Alberto ne autorizza il trasporto in Italia, a patto che «nell’arrivo del detto cadavere si eviti, per quanto possibile, ogni pubblicità». Viene portato in Val Polcevera, sotto quell’orto che aveva zappato da ragazzo. L’adorato figlio Achille si rivolge a Maria Luisa d’Austria, duchessa regnante a Parma che offre il suo benestare, sempre inteso che l’inumazione doveva avvenire in terra sconsacrata. Le autorità genovesi autorizzano il trasporto nella provincia parmense, dove avviene un’altra sepoltura provvisoria nella sagrestia. E qui rimane parcheggiato per trentadue anni: solo nel 1876, quando Achille ne compie cinquanta, viene reso ufficiale il parziale annullamento del decreto del vescovo di Nizza e le spoglie di Paganini vengono finalmente interrate nel cimitero di Parma, nella tomba di famiglia.








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