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attualita, ecologia, edizione cartacea
di Simone Parma | 01 Febbraio 2018 | in categoria/e attualita ecologia edizione cartacea
Il suolo si disfa sotto di noi: in Liguria in cinquecentomila a rischio frane e dissesto
Frazioni isolate e strade inagibili: unica soluzione la cura del territorio
Cinquecentomila. È questo il numero di liguri che - stando ai dati pubblicati pochi giorni fa nel dossier di Legambiente - vivono in zone a rischio idrogeologico. In realtà sono molti di più perché solo 75 comuni su 234 (32%) hanno fornito i dati necessari ai rilevamenti.
Strade: inizio anno difficile
La cronaca di un terreno fragile e sensibile anche a precipitazioni nella media inizia proprio a Capodanno, quando gli abitanti di Levaggi nel comune di Borzonasca restano praticamente isolati a causa di un frana in un terreno privato che mette a repentaglio la strada principale. Così per quasi 20 giorni sono stati obbligati a compiere un tragitto alternativo molto difficoltoso e persino pericoloso: “I miei genitori si trovano al di là della frana – ci racconta Paola Mitidieri – e per raggiungerli la strada è lunga e pericolosa. Essendo molto stretta sarebbe davvero un problema raggiungere le frazioni anche per mezzi di soccorso ed ambulanze”.
Ciò che però ha più sorpreso gli abitanti è stato il fatto che la frana non sia avvenuta in condizioni di estremo maltempo: “In quei giorni la pioggia non è stata molta e forse effettuando la necessaria manutenzione si poteva evitare la chiusura totale della strada”.
Abbiamo chiesto al Sindaco Giuseppino Maschio qual è l’iter di questi casi: “Quando le frane sono su terreni privati è necessario fornire loro il tempo per intervenire. Questo crea un allungamento dei tempi che abbiamo provato ad accorciare inviando i nostri messi comunali a notificare l’accaduto ai proprietari. Il 16 Gennaio abbiamo potuto iniziare i lavori e qualche giorno dopo mi sono assunto la responsabilità di riaprire la strada in deroga ai servizi di trasporto e per le urgenze”.
Tragedia sfiorata sull’Aurelia
Se a Borzonasca il disagio ha interessato un numero ristretto di persone, quello che è avvenuto sull’Aurelia ha invece avuto ripercussioni enormi sull’economia e la vita di migliaia di persone. Questa volta è l’Epifania a portare la cattiva novella: il 6 Gennaio infatti, a causa di una frana dal costone di Sant’Anna, ANAS ha proceduto alla chiusura delle gallerie che collegano Sestri Levante a Lavagna. La situazione si è parzialmente risolta il 19 gennaio con la riapertura a senso unico alternato. Una situazione non nuova: già nel 1953 una frana - ben più estesa - ha sotterrato buona parte della stessa area.
Ora è andata meglio, ma il fatto che episodi del genere si ripetano è il segnale tangibile di quanto il territorio sia fragile. Un ritorno all’agricoltura o quantomeno alla cura dei terreni abbasserebbe notevolmente questi rischi e creerebbe una rete di “sentinelle” che potrebbero avvisare della presenza di rischi, permettendo di intervenire in prevenzione, prima di sfociare in tragedie.
Raggiungere Sestri? Un’avventura tragicomica
La mia esperienza con l'Aurelia chiusa
Proprio durante la chiusura delle galleria di Sant’Anna, ho dovuto per forza raggiungere la città dei due mari, ritrovandomi in un’esperienza fantozziana. Partenza alle ore 9:00 circa dalla Val Fontanabuona. Ingorgo crescente dal centro di San Salvatore di Cogorno, che diventa vera e propria congestione anche per via di lavori in corso: dopo quasi venti minuti di coda entro in autostrada, dove si accalcano tutte le auto, moto e i camion che normalmente circolano sulle strade cittadine. Ancora prima di arrivare alla svolta per il casello di Sestri inizia la coda (l’ennesima) per l’uscita. Tutti pazientemente incolonnati attendiamo il nostro turno con biglietto e portafoglio in mano e la rassegnazione stampata in volto. Arriva il mio turno alla cassa automatica, inserisco il biglietto, poi il bancomat e lo estraggo. Passa un minuto, ne passano due e la sbarra è sempre giù. Schiaccio ripetutamente il tasto rosso di aiuto ma nessuno risponde: la cassa automatica si è bloccata. Quelli in coda dietro di me iniziano ad agitarsi e insultare, ma la sbarra mi tiene prigioniero e nessuno si fa vivo. Dopo quindici minuti di attesa (e di insulti) passo a una soluzione drastica: chiamo direttamente Autostrade per l’Italia. Dopo altra attesa finalmente al call center della sede centrale qualcuno risponde: “Sono prigioniero del casello a Sestri Levante, riesce a farmi aprire la sbarra?” chiedo. Il gentile signore romano si fa carico della mia richiesta: “Nun tè preoccupà, chiamo io”. Dopo un paio di minuti ecco arrivare il casellante che mi chiede con aria sbigottita se sia stato io a chiamare Roma per farmi aprire. Tra la furia della coda, anche lui rassegnato, mi libera dalla mia prigionia alzando la sbarra. “Per la ricevuta?”, chiedo “Per quella devi andare al Punto Blu di Rapallo” mi risponde lui. Ecco, mi tocca fare un’altra coda.
I commenti dei lettori
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