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    storia locale

    08 Novembre 2023 | in categoria/e salute storia locale

    I rimedi miracolosi di Don Rosasco e il mistero degli appunti scomparsi

    I rimedi miracolosi di Don Rosasco e il mistero degli appunti scomparsi

    - di Michela De Rosa

    Il mese scorso abbiamo parlato del ritorno ai rimedi naturali  da parte di molti medici. Questo mese riscopriamo una storia importante, quella di Luigi Rosasco che fu parroco e medico delle anime e dei corpi, continuatore dell’antica tradizione fitoterapica sviluppatasi nel corso dei secoli a Boasi, in alta Val Fontanabuona. Una storia davvero interessante che ci svela una tradizione millenaria che ha curato papi e re e le cui antiche ricette, trascritte da don Luigi, sono forse sepolte in qualche appartamento di Chiavari. Si tratta di un bene che dovrebbe tornare nel paese di origine: rilanciamo l’appello per ritrovarle lanciato da “Discover Boasi”, che ci racconta questa interessante storia.


    Grazie alle erbe ha curato centinaia di persone, ma alla sua morte è sparito il prezioso ricettario: forse è sepolto in una casa di Chiavari?

    Nel 1889 Pietro Rosasco, all’età di 23 anni partì da San Marco d’Urri (Neirone, Val Fontanabuona) per un “viaggio della speranza” verso New York. Non sapeva né leggere né scrivere, aveva con sé 20 dollari e sapeva solo di dover raggiungere un cugino a Reno in Nevada. Sua moglie lo raggiunse negli Stati Uniti qualche anno più tardi ed ebbero quattro figli: due femmine e due maschi tra cui Luigi, nato il 4 marzo 1908. Luigi fin dell’età giovanile dimostrò una passione per la medicina ma non potè mai seguire studi in materia a causa delle modeste condizioni economiche in cui versava la famiglia di emigrati italiani. Una situazione precaria confermata dal ritorno di Luigi nella casa natale in Liguria. Studiò a Chiavari e nell’aprile 1934, all’età di 26 anni, fu ordinato sacerdote di Boasi, il suo primo incarico, stabilendosi nella casa canonica. Proprio davanti a quella chiesa, due mesi più tardi, nel giugno 1934 venne inaugurato il tronco Sottocolla di Boasi-Ferriere della strada appenninica numero 139 Genova-La Spezia, il primo collegamento carrabile nella storia tra la Val Fontanabuona e l’esterno.



    La millenaria tradizione fitoterapica di Boasi

    Non furono solo le radici e la povertà a portarlo lì, ma la mano tesa del Destino... Proprio in quel minuscolo villaggio dell’entroterra ligure Luigi trovò la chiave d’accesso alla sua passione per la medicina: una tradizione fitoterapica con radici antichissime tramandata in forma orale e scritta. Una tradizione secolare, se non millenaria, basata sulle piante e gli animali della montagna, lo studio, la ricerca scientifica, la bibliografia, gli usi e le consuetudini. Il primo nome noto è quello del chirurgo Anselmo d’Incisa, così chiamato in quanto originario della parte alta del villaggio di Boasi: tra la fine del 1200 e l’inizio del 1300  curò papa Bonifacio VIII e il re di Francia Filippo il Bello con un celebre unguento registrato nell’antidotario di Nicolò di Salerno. Suo figlio Giovanni d’Incisa fu archiatro di papa Clemente VI.
    Poi fu la volta di don Antonio Dondero soprannominato non a caso “Salvatore”: parroco di Boasi dal 1870 al 1926, per 56 anni consecutivi curò pazienti provenienti da ogni dove attraverso la fitoterapia scatenando critiche, accuse e denunce da parte del mondo medico, accademico ed ecclesiastico tanto da essere processato e condannato a una multa dal Tribunale di Genova nel 1892. Don Luigi arrivò dopo di lui e in questo terreno fertile, coadiuvato dalla perpetua Anna Dondero, aprì un vero e proprio studio medico nella canonica della chiesa di San Tommaso. Anche quando a Boasi pioveva o c’era gelo, ma era necessario reperire ingredienti indispensabili alle medicine, don Luigi Rosasco andava da solo nei boschi “armato” di una grande cavagna di legno indossando una cappotta nera e un cappello.
    Come scrisse Eugenio Ghilarducci nel suo libro “Storie di vallata”: “A lui ricorrevano persone di ogni ceto, dal portuale al piccolo commerciante, dal politico al famoso professionista”, il cantante Michele negli anni Sessanta per fare solo un esempio, fino ai “contadini bisognosi di essere curati per piccole ferite inferte dagli attrezzi di lavoro. Per il resto gli abitanti del borgo, astutamente, utilizzavano tutto quello che riuscivano a sapere grazie alla chiacchiere della perpetua ‘Signo’ che spesso doveva coadiuvare don Luigi e porgergli le varie medicine composte nel laboratorio”.

    Il ruolo importante della signora Anna

    Signo’ era il nomignolo dato ad Anna Dondero: nata a Torriglia il 19 agosto 1920, svolgeva il ruolo di segretaria nello studio medico di don Luigi e si occupava dell’accoglienza e degli appuntamenti, distinguendosi per l’autorevolezza. Basti pensare che era lei a guidare l’auto con cui viaggiava don Luigi e all’epoca non era cosa consueta per una donna. Per 48 anni consecutivi curarono malati provenienti da ogni dove attraverso la fitoterapia. Morì in una casa popolare di Chiavari il 28 dicembre 2007, venticinque anni dopo don Luigi Rosasco e fu sepolta al suo fianco nel cimitero di Maxena.



    “Il prete che cura con le erbe“ incuriosì diversi giornalisti

    La fama delle doti medicali de “o præve de Boaxi” si diffuse per le vallate, la costa e anche fuori dalla Liguria. Ecco cosa rilevò la studiosa Esa Bertagnon in visita a Boasi nel 1955: “…i piccoli nuclei di casolari sparsi sulle pendici hanno ancora sufficientemente conservato le antiche consuetudini e il piccolo centro di Boasi mostra evidente il persistere di una antica tradizione fitoterapica, dalla quale si sono alimentati gli usi degli altri centri della valle”. Bertagnon incontrò quasi certamente don Luigi e annotò in un libro quindici pagine di ricette mediche basate sulla flora medicinale del luogo.
    Nel 1963 fu la volta del giornalista Carlo Otto Guglielmino: “La stanza ove don Rosasco riceve i suoi malati - e sono tanti - sembra il gabinetto di un medico: c’è persino il lettino metallico per la visita dei pazienti. Accanto è un tavolo ingombro di barattoli di ogni genere pieni di erbe, di bottiglie dove fogliuzze ormai ingiallite sono tenute in infuso, di recipienti colmi di pomate vegetali che devono essere assorbite mediante massaggio. Ci raccontano che le autorità ecclesiastiche ad un certo momento vollero veder chiaro nella faccenda, ed iniziarono una specie di inchiesta. Ma proprio l’inquirente maggiore era afflitto da una delle infermità che don Rosasco afferma di poter guarire. L’inquirente volle provare ed effettivamente constatò un beneficio notevole, quasi la guarigione totale. Era la prova migliore che il sacerdote non dispensava illusioni. E lo lasciarono tranquillo in mezzo ai suoi barattoli, ai suoi unguenti, alle sue vipere sotto spirito che egli stesso ha catturate, nei dintorni del paese, con un bastoncino biforcuto, un pezzetto di spago ed un sacchetto di plastica”.


    Per non farlo trasferire la popolazione barricò la chiesa

    Il 2 luglio 1968, dal pulpito della chiesa, don Luigi Rosasco annunciò che un decreto della Curia vescovile chiavarese prevedeva il suo trasferimento nella parrocchia di Maxena il 14 luglio. La notizia si diffuse rapidamente e la sera stessa la popolazione di Boasi decise di impedirlo. “Qualcuno voleva inchiodare con tavole il portone della chiesa e la porta e le finestre della canonica. Siamo poi riusciti a calmare gli animi”, dichiarò un abitante intervistato da Il Secolo XIX. Nei giorni successivi una delegazione si recò in Curia a Chiavari per far revocare il provvedimento, ma non ottenne alcun risultato. Quindi dalla sera di venerdì 12 luglio ci furono picchetti di guardia 24 ore su 24 davanti alla chiesa e alla canonica per impedire la partenza di don Luigi. Sabato 13 ci fu una manifestazione di protesta a cui parteciparono circa quattrocento persone, il quadruplo dei cento abitanti del villaggio. Domenica 14 luglio don Rosasco e la perpetua Dondero tentarono di andarsene ma la folla li costrinse a rientrare in canonica. Nel frattempo una delegazione di abitanti si recò a Montemoggio di Borzonasca, residenza estiva del seminario di Chiavari, per incontrare il vescovo Luigi Maverna, ma anche questo incontro fu infruttuoso. Pertanto l’ultima possibilità, rivolgersi in Vaticano: gli abitanti del villaggio prima scrissero una lettera-appello a papa Paolo VI poi organizzarono anche il viaggio in camion a Roma, ma senza ottenere il risultato sperato. I picchetti continuarono finché, a settembre, don Luigi e Anna dovettero trasferirsi Maxena, dove continuarono a curare le persone.



    A CHIAVARI UNA STRADA DEDICATA

    Lo scorso aprile, la comunale che parte da via F. Gandolfi e conduce all’ex scuola, via Frazione Maxena Case Sparse è diventa via Don Luigi Rosasco. “Abbiamo ricordato la figura dell’amato sacerdote che ha dedicato la sua vita a curare le persone sia nel corpo che nello spirito, mettendo a disposizione anche le sue conoscenze mediche. L’idea della nuova intitolazione è nata proprio dai cittadini che volevano mantenere viva la sua memoria”, ha dichiarato il sindaco Messuti.


    I preziosi volumi di fitoterapia devono tornare a Boasi
     
    Anche a Maxena, don Luigi riordinò con estrema cura l’Archivio Parrocchiale per cui è probabile che tutte le conoscenze fitoterapiche acquisite dai suoi predecessori in alta Valfontanabuona siano state annotate nel suo archivio personale. Si tratta di documenti, appunti e volumi di grandissimo valore storico che oggi potrebbe essere nascosto da qualche parte a Chiavari. Potrebbe averlo custodito Anna Dondero fino al 2007 nella casa popolare di San Pier di Canne dove fu costretta a trasferirsi dopo la morte di don Luigi Rosasco nel 1982. Potrebbe essere custodito da qualche antiquario. Potrebbe essere tra la polvere di qualche archivio ecclesiastico. Si tratta di documenti unici al mondo da provare a riportare alla luce e restituire ai luoghi da cui è sgorgata questa preziosa conoscenza.



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