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sport
Sestri e il pugilato: una grande storia messa all'angolo dalla burocrazia
Con il cambio di gestione subentrano le nuove regole e così la storica palestra fondata da “Pinan” Muzio diventa da un giorno all’altro inagibile: l’appello di Claudio Carbone e non solo per la riapertura
Dopo quasi cinquant’anni di allenamenti, riscaldamenti e colpi schivati, la Palestra di Pugilato nata nel 1975 dalla passione del grande Giuseppe “Pinan” Muzio ha chiuso le saracinesche. E’ accaduto lo scorso ottobre e da allora uno dei suoi allievi, Claudio Carbone, insieme a Bobbio e Raso (allenatori e tecnici federali), suona il campanello a tutte le porte ufficiali.
Come accade per bar e ristoranti, quando subentra una nuova gestione si applicano le nuove norme. E con le nuove disposizioni, quella sede che fino al giorno prima andava bene, improvvisamente è diventata “inagibile per motivi di sicurezza”. Per Carbone, che tra quelle pareti è cresciuto come ragazzo e nato come pugile, quella palestra è perfetta. Ma soprattutto è impregnata della storia del pugilato sestrese, ligure e italiano. Una sorta di monumento sportivo.
Il cambio della giunta comunale ha rallentato ancora di più i tempi della risposta ufficiale e il nuovo delegato allo sport, Albino Armanino, non ha per il momento una soluzione. Ma una rassicurazione, che “il progetto dei pugili sestresi è importante anche per il Comune”. Vedremo quanto. Perché qui non è solo questione di sport, di muscoli, di incontri. E’ soprattutto una storia di vite salvate.
Sul ring contro la burocrazia
Ma la burocrazia è un avversario subdolo, che con un semplice, leggerissimo foglio accartocciato può mettere all’angolo i sogni e le speranze. Per resistere ci vuole la passione e il sangue freddo di un combattente. “A Sestri gh’è sangue bun” diceva un vecchio saggio.
E nelle vene di Claudio Carbone scorre quel sangue. Questo si capisce dai suoi occhi, che una volta erano arrabbiati con il mondo e che oggi sono pieni di speranza. Lui prese la tristezza, il dolore e l’ira e li trasformò in impegno, costanza e disciplina. Indossò i guantoni cercando di lottare contro i propri demoni, quelli che gli ricordavano l’incidente che lasciò suo fratello in una carrozzina.
Aldo Traversaro fu il primo a fiutarne il talento. Qualche anno dopo, entrato sotto l’ala protettiva di Pinan, Carbone cominciò a portare a casa premi: Campione interregionale, cintura ligure nei pesi medi, due volte in finale negli assoluti. Carbone sa l’arte del pugilato, lo dicono i suoi 70 match finiti sempre con una stretta di mano. Perché la boxe, dice lui, è questo: “Disciplina, sacrifici, paure, ma prima di tutto, rispetto”. Con un sorriso mi dice che fino a poco tempo fa dava ancora del “lei” al suo allenatore.
Ed è questo che vorrebbe insegnare anche ai giovani d’oggi. Che la boxe non è un modo legale per fare a pugni. È tutt’altro. Vorrebbe togliere dalla strada sbagliata qualche ragazzo, dare un’opportunità a quelli che si sentono persi e aprire loro le porte di un posto che insegni l’amicizia, il rispetto verso l’avversario, i segreti di uno sport complesso. A spese sue. A tempo suo. Nella palestra del suo maestro Pinan. Un match importante perché la burocrazia può essere letale, ma le promesse ci sono e la nuova giunta comunale di Sestri Levante ci assicura di “avere a cuore il sogno di Claudio Carbone” che fa anche da portavoce per una comunità che tifa per lui e per la propria gloriosa storia di pugili.
Tra i campioni di pugilato del Levante c’è anche Aldo Traversaro: 54 incontri, vinti 44, pareggiati 6 e persi 4, ma nessuno per ko. Eppure la sua storia parte dalla timidezza di un bambino che non veniva mai scelto nelle squadrette di calcio del paese, di un adolescente che amava ballare ma che non aveva il coraggio di invitare una ragazza. Un giorno si fermò davanti alla palestra di pugilato, ma non si sentì di entrare. Mandò un amico come scudo e si strinse ancora nel suo timore. Tito Copello invece riconobbe all’istante il talento e gli fece spazio tra i suoi ragazzi.
Traversaro inizia ad allenarsi, negli angoli stretti, lontano dagli sguardi. Ma ha un obiettivo. Se lo ricorderà ogni volta nella fermata della corriera delle 21.30, sulla strada di ritorno a casa che è sempre buia, a mezzanotte quando deve ancora stendere i suoi vestiti che gli serviranno il giorno dopo in palestra: “Volevo che le persone si accorgessero di me perché ho fatto qualcosa di buono. Volevo il mio nome sul giornale. Ogni volta che qualcuno lo avrebbe letto, la mia timidezza sarebbe stata premiata. Agostino, il mio manager, mi disse:<<Traversaro, le cose si guadagnano. La gente non ti regala nemmeno il buongiorno.>>”
E lui lo prese sul serio.
Si mise sul ring davanti a nomi pesanti: Adinolfi, Grespan, Trujillo, Walter White, Cardoso, Taylor. Ormai il pugilato faceva parte di sé e, insieme, scoprirono una tecnica, un movimento che lui, adesso, lo definirebbe magari azzardato. Lavorare sull’avversario per sovraccaricarlo. Perché la boxe non è una raffica di pugni. Il suo allenatore, una volta gli disse: ”Il pugile deve avere occhi e gambe. All’ultimo, il pugno.”
Nel ’79 l’addio al ring come pugile, per trassformarsi in allenatore. “Qualcosa era cambiato, ma sappi che è più difficile smettere che iniziare. Dopo odiavo la palestra, ho scelto di uscire dalla porta di servizio, senza spargere la voce. Sono rientrato come allenatore nella palestra chiavarese di Tito Copello, dove sono diventato quello che sono”.
Così, a sua volta, ha formato altri ragazzi, tra cui Claudio Carbone, riconoscendo in lui quelle doti che poi un altro maestro, Pinan, ha finito di plasmare nella sua palestra a Sestri Levante. Accanto a noi si ferma una moto e scende proprio Claudio Carbone. Si scambiano una stretta di mano e Traversaro mi dice “Molti ragazzi sono lasciati soli. E ognuno di loro che viene in palestra a fare uno sport è già un campione. Carbone vuole fare questo. E va sostenuto”.
Carla Berneanu
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