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edizione cartacea, storia locale
di Giulia D’arrigo | 09 Maggio 2019 | in categoria/e edizione cartacea storia locale
#MEMORIAL - Dalle bombe alla samba: la rinascita di Lavagna
Con gli occhi di Iolanda ripercorriamo i cambiamenti della cittadina, da quando si andava a scuola di italiano al boom del lavoro e della felicità
In una bella giornata di sole ho avuto l’opportunità di scoprire la Lavagna di un tempo attraverso gli occhi di Iolanda Mazzarello, classe 1940. La vado a trovare nella sua abitazione attuale, a Casarza, arredata con gusto e piena di quadri. Me ne mostra uno con particolare orgoglio: lo ha dipinto il fratello di sua madre, che lei non è riuscita a conoscere perché morto giovane in guerra.
L’aereo Pippetto e le campane
Iolanda, una vita trascorsa a lavorare come parrucchiera e a scrivere poesie, mi guida attraverso la sua vita, partendo dai ricordi di infanzia, a Lavagna: tra questi c’è il grande porticato sotto casa, il famoso Brignardello, all’epoca teatro di giochi con le amiche e nascondiglio in cui si doveva correre quando suonava l’allarme e l’aereo “Pippetto” annunciava un bombardamento imminente. Ma i bambini sanno sempre trovare la spensieratezza, anche nei posti più impensabili, e allora bastava davvero poco: lì accanto, nella Basilica di Santo Stefano, che l’ha vista battezzata e poi sposata, c’era una scaletta che portava al campanile; lei e le altre bambine la percorrevano di nascosto dal prete, per poi suonare le campane e fuggire di corsa! I primi anni non sono stati facili: quando aveva circa quattro anni la madre è deceduta in ospedale a Genova, ma a causa del bombardamento del ponte sull’Entella non c’era modo di riportare il corpo a casa. Ricorda poi un’incursione di tre tedeschi armati presso la loro casa. Avevano aperto senza difficoltà la porta, che allora si chiudeva con lo “spaghetto”, terrorizzando i bambini che erano già a letto.
Si parlava solo genovese
Le chiedo della scuola e mi racconta che usciva di casa di buon mattino, scaldando un po’ di latte sulla stufa nella gavetta del padre e attraversava i campi fino alla scuola. “Il primo giorno mi hanno chiesto come si chiamavano i miei genitori. Per una combinazione avevano lo stesso cognome. Non mi hanno creduto – racconta scuotendo la testa -, ho insistito e mi hanno spedito a casa!”. Come la maggior parte della popolazione non parlava italiano ma soltanto genovese, così i primi due anni di scuola sono trascorsi disegnando puntini e aste su un quaderno a quadretti con la copertina nera. Di tanto in tanto la maestra faceva alzare tutti per una preghiera. Quando ha imparato a leggere e scrivere Iolanda si è tuffata sui temi, in cui era particolarmente brava, al punto che spesso la maestra li portava a leggere nelle altre classi: “Ma non mi ha mai dato un vero voto. Spesso la maestra chiamava le bambine più robuste, ritirava i loro quaderni e le mandava a sistemare la sua casa, poi metteva un bel voto. Per gli altri soltanto la V di visto.” In quarta elementare ha smesso di andare a scuola. La famiglia si era trasferita in Via Nuova Italia dove la sorella, molto più grande di lei, lavorava come pettinatrice e Iolanda la aiutava preparando i sacchetti per la permanente. Ricorda con affetto il momento in cui partorì: il padre le aveva detto “Se senti gridare non preoccuparti e fai la brava, che poi ti porto un piccolino per giocare”.
La ricostruzione, il benessere, la felicità
Le persone ricominciavano ad uscire, la spiaggia si affollava di bagnanti, la sorella ha aperto un negozio e lei la assisteva come parrucchiera. Una casa nuova, con due bagni all’interno, ed un nuovo lavoro. “Eravamo felici. Ricordo mio padre che che per festeggiare la mia Comunione aveva fatto i ravioli, sbattendo forte la pasta perché da ragazzino aveva lavorato come panettiere”. Poi il tempo trascorso presso la zia Marinin, che le dava riso e latte perché aveva tre figli maschi tra i quali dividere la poca carne che c’era. Iolanda è diventata sempre più brava come parrucchiera, i clienti la cercavano ed è finalmente riuscita a frequentare la scuola a Genova per perfezionarsi; con un sorriso mi mostra la foto, nascosta in un mobile. La Genova di allora la ricorda “Bella, con una via XX Settembre piena di vetrine e boutique e i caffè affollati”.
Le sale da ballo e i ragazzi che arrivavano in barca portandosi i vestiti belli per non sgualcirli
Ora che chiacchieriamo da un po’ posso chiederle come si vivevano allora i primi amori adolescenziali.“Ci si innamorava tutte le settimane. Quando qualcuno mi piaceva lo raccontavo a mio padre e lui, di nascosto, scendeva al bar per osservarlo e poi mi diceva sempre che non gli piaceva!”. Ma la vita adesso era vivace, l’atmosfera frizzante, la tristezza e il silenzio spazzati via dalla musica e dalla voglia di vivere e di divertirsi: “Si ballava nelle piazze al suono delle orchestre, c’era una gioventù serena e pulita. In quegli anni a Lavagna hanno aperto l’Antares e lo Chez Vous d’estate si andava a ballare sulla grande terrazza. Nel pomeriggio si andava tutti a Le Colombe a Santa Giulia. La mia amica Gianna cantava e gettava mazzolini di viole”. Le strade erano da farsi e per questo era ancora vivo il rapporto con la natura e con il mare, come in questa bella immagine che forse più di tutte racconta quell’epoca di passaggio: “I ragazzi di Sestri Levante arrivavano in barca portandosi dietro i vestiti belli per non sgualcirli, e si cambiavano una volta sbarcati a riva. E poi c’era il juke boxe, una moneta per tre balli. Si rideva, si cantava...”.
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