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    edizione cartacea

    09 Giugno 2025 | in categoria/e edizione cartacea

    Dal "vestito da mare" al topless: la moda da spiaggia racconta la storia della libertà

    Dal "vestito da mare" al topless: la moda da spiaggia racconta la storia della libertà

    Il costume femminile rappresenta un secolo di cambiamenti, emancipazioni e battaglie sotto il sole

    - Andrea Carugati

    Ci sono oggetti che parlano più dei libri di storia. Il costume da bagno femminile, ad esempio, racconta nel suo tessuto un secolo di trasformazioni sociali, culturali e persino politiche. Dalla copertura integrale della pelle al minimalismo del bikini, ogni sua metamorfosi ha seguito da vicino le tensioni tra censura e libertà, controllo e autodeterminazione, norma e rottura.

    All’inizio fu un “non costume”
    All’inizio del Novecento, il costume da bagno era un non-costume: più simile a un abito da camera con calze e scarpe che a un indumento per nuotare. Il corpo femminile non doveva mostrarsi, in ordine di una morale rigida e patriarcale. Fare il bagno in mare, per una donna, era un atto regolato, misurato.

    LENTAMENTE CI SI SCOPRE
    Negli anni ‘20 e ‘30, il costume inizia a cambiare con la società. Si scoprono le braccia, le gambe, si usano tessuti elastici: il corpo si muove, suda, corre, gioca. Le donne entrano nello sport, nel lavoro, nelle città. È un’emancipazione ancora discreta, ma visibile.

    NEL DOPOGUERRA ARRIVA LA BOMBA
    La svolta arriva con la Liberazione non solo dagli invasori ma anche da molte rigidità culturali. Nel 1946, il bikini di Louis Réard rompe ogni schema. Piccolo e scandaloso, in un mondo appena uscito dall’orrore, è un segno di rinascita. E se all’inizio viene vietato in molte spiagge europee, nel giro di vent’anni diventa simbolo di una femminilità più consapevole, audace, visibile.



    “IL CORPO E’ MIO E LO GESTISCO IO”
    Negli anni ‘60 e ‘70, il costume si politicizza. Il corpo torna al centro del dibattito: libertà sessuale, autodeterminazione, femminismo. Da una parte, appena pochi anni prima il divieto di scoprire perfino le caviglie, dall’altra l’arrivo del topless. Sono quindi le donne a scegliere ora se, come e a chi mostrarsi. Non è solo questione di centimetri scoperti: è il diritto di decidere del proprio corpo, anche sulla spiaggia.

    ARRIVA “BAYWATCH” E TUTTO CAMBIA
    Negli anni ‘80 e ‘90, il costume si fa marketing. La pelle è abbronzata, scolpita, esibita. Arrivano i modelli sgambati e l’immaginario da Baywatch. Il corpo diventa performance, piegato ai nuovi standard estetici imposti dai media.

    OGGI? “IO SONO QUEL CHE SONO”
    E oggi? Il costume si frammenta, come la società. Esistono bikini minimalisti e costumi interi retrò, trikini geometrici e mute sportive. Ogni stile convive, ogni donna sceglie il proprio. È il tempo della pluralità, della soggettività, dell’identità. Ma è anche il tempo della consapevolezza che nessun costume è neutro. Che ogni scelta, anche quella apparentemente frivola di cosa indossare in spiaggia, è il riflesso di un’epoca, di una cultura, di una libertà. Il costume da bagno femminile continua quindi a essere un campo di battaglia simbolico, sul quale si misura la distanza tra ciò che si è, ciò che si può essere, e ciò che si vuole essere.


    Chi è cresciuto negli anni ‘70 e negli anni ‘80 si ricorderà che sulle spiagge italiane il topless era quasi la regola. Un atto rivoluzionario che parlava di autodeterminazione, di autonomia, di libertà. Esporre il corpo era un modo per rifiutare il pudore imposto, per affermare che anche le donne avevano il diritto di vivere il proprio corpo senza doverlo giustificare. Oggi non si vede più. Seppure i costumi siano sempre più succinti e lascino ben poco alla fantasia è sempre più raro trovare una donna che in spiaggia esponga il seno al sole. Perché? Le ragioni sono molteplici: una maggiore consapevolezza dei rischi del sole per la salute e il non sentire più bisogno di “dimostrare” nulla con un gesto pubblico. Il concetto di libertà si è fatto più intimo, più soggettivo, meno legato all’apparenza.
    C’è un altro aspetto: viviamo in un mondo di sguardi continui, amplificati dai social, dagli smartphone, dalle telecamere. Se un tempo la spiaggia era un luogo relativamente protetto, oggi anche lì si rischia di finire in uno scatto rubato, in una storia su Instagram, in un gruppo privato su Telegram. Evitare il topless è diventata una forma di autodifesa, non di pudore. Lo sguardo maschile è riuscito ancora a dettare legge, in maniera più subdola e per certi tratti più pericolosa. E se c’è un costume che deve cambiare è proprio questo. 

     


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