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    edizione cartacea

    04 Giugno 2025 | in categoria/e edizione cartacea

    Cronaca semiseria di un papà che odia il calcio ed entra per la prima volta allo stadio per realizzare il sogno del figlio (genoano)

    Cronaca semiseria di un papà che odia il calcio ed entra per la prima volta allo stadio per realizzare il sogno del figlio (genoano)

    - di Giansandro Rosasco


    Mi sono ripromesso, da anni, di non odiare più niente e nessuno, ma se c’è un’attività sportiva che mi sta sugli zebedei è proprio il calcio. Eppure, se ripercorro le mie esperienze legate a questo sport, ho due ricordi fantastici e uno è mondiale. è l’estate del 1989, Toto Schillaci è il re del momento (spoiler: vai nell’ultima riga dell’articolo) e tutti cantiamo “Un’estate Italiana” di Edoardo Bennato e Gianna Nannini,un brano che ancora oggi mi regala grandi emozioni. 
    L’altro risale a due anni prima. Campionato estivo al campetto di Gattorna, io il più brocco di tutti (eh sì, non mi piace nemmeno giocare a calcio) la mia squadra è tra le prime in classifica ma io vado lì solo per mangiare la salamella alla brace, cotta sul rametto di rosmarino da Bruno, il quale mi dice che chi segna un gol ha diritto ad un panino gratis. Apriti cielo! Vi giuro che in quell’ultima partita lì, che poi ci ha fatto arrivare primi, avrò segnato per la prima volta nella mia vita qualcosa come 2-3 gol, segno che con la giusta motivazione possiamo fare proprio tutto.


    La delusione (e poi termino) è che quando sono andato all’incasso dei sospirati panini scopro che era un sorta di presa in giro e credo me ne abbiano regalato uno giusto perché già allora la mia vena di protesta era parecchio molesta.
    La mia avventura col calcio è iniziata e finita lì, finché non è arrivato lui, nostro figlio Aben che a 10 anni, ispirato “dalla fede” o semplicemente traviato da qualche amichetto di scuola mi dice: “Papà, mi porti allo stadio a vedere il Genoa?”. 
    Un tempo ai genitori gli zebedei giravano per ben altro, a me è toccato questo amore del tutto contro natura e che sono stato costretto ad accettare per amore. Ma che volete, i figli so piezz' e core no? Per lui vado ovunque, perfino allo stadio.

     

    “Quel sogno che comincia da bambino
    E che ti porta sempre più lontano”


    Ed eccomi a organizzare per accompagnare il piccolo neogenoano verso il suo destino. Rimanda che ti rimanda, decido infine di portarlo all’ultima partita del Campionato, perché una promessa è una promessa e mi piace l’idea che sia senza scontri fratricidi, con risultati ininfluenti e senza troppa gente.
    Ovviamente accade l’imprevisto: la Samp va in Serie C (ma non è ancora detto) e la massa genoana si ritrova per gli sfottò di rito, probabilmente i più eclatanti mai avvenuti perché la situazione dei “cugini” è davvero clamorosa. Per una serie di circostanze rimango senza auto e decido di lanciare un appello sui social per un passaggio. Mi risponde Paolo Capurro, genoano doc, persona sempre sorridente, con una birra e un pezzo di pizza in mano. Non è un esagitato e ha la testa sulle spalle. è lui il destriero nel nostro destino ed è giusto che entri in questa storia. Saliamo in auto e via verso lo stadio!
     

    “Ma voglio viverla così questa avventura
    Senza frontiere e con il cuore in gola”


    Ci sono anche il figlio di Paolo e un amico dello stesso. Il viaggio è foriero di spunti, ascolto, menaggi sui sampdoriani, menaggi sugli stessi tifosi genoani, riti scaramantici di ogni genere, fino ad arrivare a qualche chilometro dallo stadio a parcheggiare (perché giustamente i nostri politici obbligano a costruire parcheggi se innalzi uno sgabuzzino, ma non pensano quando creano queste grandi opere a implementare silos o parcheggi sotterranei, del resto si sa che il calcio a Genova non è sentito).
    E così, da un grigio parcheggio di città inizia la lunga marcia, rigorosamente a piedi. Il mio pensiero, figlio della mia atavica avversione a questo sport è: che palle. E invece anche questa parte è stata divertente. Un po’ perché si parte tipo tre ore prima per consumare pizzette, birre, panini nel tragitto (stessa cosa al ritorno) e crea anche un sano business per il territorio. Un po’perché si incontrano personaggi di tutti i tipi; complice anche la retrocessione della Samp è stato facile osservare frati, preti, cardinali tutti pronti a dare l’estrema unzione al feretro dei cugini. 
     
     
    Lungo il percorso scopro che si conoscono un po’ tutti, fanno parte di una grande famiglia e se anche non si sono mai visti basta una sciarpa per scambiarsi un sorriso. A proposito di sciarpa, visto che anche mio figlio dice di essere genoano, entriamo nella sede dei Figgi du Zena e lì, oltre al panino al salame, gli regalo l’orpello: magari è l’ultima volta che mi chiede di andare allo stadio e me la cavo con poco, chissà!
     

    Arrivati ai cancelli, preso da un attimo di agitazione in quanto il mio tornello aveva girato male (vedete che il calcio mi rimbalza?) mi sono trovato fuori e mio figlio dentro e non sapevo se essere agitato per paura di perderlo o perché potesse combinare qualcosa, tipo spegnere le luci dello stadio. Che in Trentino si stanno ancora chiedendo come abbia fatto a fermare una seggiovia. Lo staff ha risolto in un batter d’occhio: pargolo recuperato e nessun danno visibile.

    “ Il mondo in una giostra di colori
    E il vento 
    accarezza le bandiere”

    Salite un po’ di rampe di scale si apre davanti a noi lo stadio: mio figlio euforico, per me è come se avessi sentito un grosso respiro. E’ stato emozionante? Sì. Qualcosa di molto fisico. Pensavo in realtà che lo stadio fosse molto più grande e dovessi usare il binocolo per guardare i giocatori e invece era tutto molto godibile.
     

     
    “Arriva un brivido e ti trascina via
    E scioglie 
    in un abbraccio la follia”

    Proseguiamo, la nostra destinazione è la Tribuna Stampa, non perché siamo dei VIP ma perché per me era anche lavoro. Lo steward, che a quanto pare ha sviluppato un radar psicologico non indifferente, senza conoscere Aben gli raccomanda di non esagitarsi, anche perché li c’è gente che lavora. Non avendo mai fatto questa esperienza, la scelta di un posto “più protetto” mi sembrava la migliore, ma forse al prossimo giro dovrò portarlo nella mischia delle curve, dove potrà dare sfogo alle sue corde vocali. Oltretutto diciamocelo, per me la postazione con la sedia era quanto di meglio per mettermi a mio agio, chi tifa invece sta in piedi tutto il tempo. Ecco, io capirei alzarsi per un gol e poi tornare a sedersi tipo a messa,  ma questa cosa di stare tutto  il tempo in piedi non la capisco: è la foga della partita?
     

     
    “E negli occhi tuoi voglia di vincere
    Un’estate, u
    n’avventura in più”

    Sarà perché mia mamma era simpatizzante genoana, sarà perché il mio cucciolo era così entusiasta, ma alla fin fine assistere al’incontro è stato gradevole. Ho esultato per i gol del Genoa, mi sono rattristato per quello annullato, ho provato un po’ di delusione per i gol dell’Atalanta, così come per alcuni striscioni del Genoa stesso e sono rimasto con il fiato in gola quando c’è stato l’accesso al VAR che quasi non sapevo cosa fosse. Ho poi scoperto che allo stadio le coreografie sono molto belle, rendono sempre diverse le situazioni mano mano che avanza la partita. L’audio è pessimo, probabilmente dovrebbero farsi dare qualche consiglio dall’organizzatore delle curve che con qualche parolaccia intima di alzare e abbassare le bandiere e tutti gli ubbidiscono. Insomma, per un po’ sono stato uno di loro ed è stato bello. Se non siete mai entrati in uno stadio, fatelo almeno una volta nella vita. E' davvero un’emozione. 


    Ah, se questo resoconto non vi è piaciuto è normale: sono juventino, non posso essere anche simpatico!

     


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