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cultura, edizione cartacea, storia locale
di Vittorio Rosasco | 03 Ottobre 2011 | in categoria/e cultura edizione cartacea storia locale
RANGHINELLI - Di quando le donne sapevano fare di tutto: dal burro alla seta
Altrettanto bella fu l’estate successiva (1940) e qualcosa si muoveva nei disegni imperscrutabili della mia vita. Avevo sempre una propensione spiccata per le cose sacre e mia madre seguiva il sogno più grande della sua vita quello di avere un figlio sacerdote. I presupposti per raggiungere il fine c’erano tutti, tranne quello economico: mancavano le mille lire per la retta annuale e le molte altre spese per il corredo : sottane, mantello, ferraiolo, cappetello, cot (c’era anche la cotta crespa che non si vede più e che costava una cifra!).
Qui devo fare una considerazione un po’ amara. Ho amato mio padre d’un amore “esagerato” ma il nostro rapporto è sempre stato conflittuale, io sottomesso e sempre rispettoso, lui sempre ostile anche se facevo di tutto per piacergli. Da mio padre non ho mai avuto un bacio o una carezza e di questo ne ho sofferto molto. A lui ho perdonato tutto, le birichinate (perché era birichino!), le ubriacature e tutto il resto ma non l’aver consegnato il “tesoretto” del nonno a chi l’ha sperperato malamente perché, pur non essendo tale da assicurare l’agiatezza, era notevole e poteva evitare a mia madre sacrifici inenarrabili, a me e a mio fratello il collegio privandoci di una serena infanzia che tutti i bimbi dovrebbero avere. Mia madre ha dovuto fare salti mortali per procurare le risorse per i miei studi senza contare che tutto il carico della famiglia era sulle spalle di quella santa donna sempre indaffarata, sempre sorridente di un sorriso mite, dolce, limpido anche quando le avversità della vita si facevano più severe, talvolta crudeli. Animata da una invidiabile, incrollabile fede aveva sempre una parola accomodante, giustificava tutto e tutti. Si alzava prestissimo per accudire alle faccende domestiche, al bestiame, per poi andare giornalmente a Messa: “ Mi dà la forza per affrontare la dura giornata” diceva. Per guadagnare qualche lira per molti anni si è dedicata all’allevamento del baco da seta, un lavoro delicato e meticoloso. Schiuse le uova di farfalla della famiglia dei bombicidi comprate a peso d’oro, le larve venivano nutrite con foglie di gelso raccolto giornalmente. Dopo tre o quattro mute si rinchiudevano in un involucro, il bozzolo formato da un lunghissimo filo di seta (da 350 a 1250 metri) che venivano gettati nell’acqua bollente prima che la farfalla lo bucasse per uscire e non servisse più per la filatura. A volte, causa dell’umidità o per varie infestazioni il processo veniva interrotto vanificando tempo e lavoro provocando tanta amarezza. Nella stagione propizia si recava nei boschi alla ricerca di funghi. Era bravissima e se ho acquisito la passione per la micologia lo devo sicuramente a lei. Curava l’orto, bagnava, raccoglieva le verdure, vendemmiava, raccoglieva le castagne, faceva il bucato con la lisciva fatta con la cenere setacciata, sciacquava i panni nel fiume ( non c’era l’acqua in casa), coglieva frutta, faceva marmellate e salsa di pomodoro che cuoceva e poi l’esponeva al sole tanto da renderla una polpa oscura. Con un pizzico faceva il sugo talmente buono che nessuno, pur bravo, è riuscito ad imitarlo. Naturalmente lo faceva gorgogliare per ore ed ore. La ricordo quando sbatteva in un fiasco senza veste la panna di latte per ottenere il burro o quando metteva il caglio nel latte per fare il formaggio, sostanza che si estraeva dall’abomaso di ruminanti di prima età, vitelli, agnelli, capretti, veniva salato e conservato in budello naturale (presume) e adoperato in piccole dosi. Il latte rappreso veniva triturato e posto nello stampo di legno (vascela o fascela). Dopo qualche mese era pronta da mangiar la formaggetta morbida e butirrosa. Un ricordo per me dolce e salato.
Tratto da CORFOLE! del 10/2011, con 25.000 copie gratuite: la testata più diffusa del Levante © Riproduzione vietata
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