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storia locale
di Maura Bregante | 13 Dicembre 2011 | in categoria/e edizione cartacea storia locale
Troppe tasse e pochi collegamenti costringevano i levantini ad emigrare: la storia del territorio ci insegna che... niente è cambiato
Numerosi sono gli stranieri che in questi ultimi decenni hanno scelto l’Italia, paese spesso conosciuto da queste persone attraverso il mezzo televisivo. Una volta arrivati la promessa della terra eterna del “mulino bianco” viene infranta; c’è chi trova lavoro come bracciante nelle campagne padane o del centro sud, c’è chi vende sulle spiagge in estate, chi viene assunto da qualche ditta cantieristica. Per numerose donne provenienti dall’est europeo o dall’America latina il lavoro più probabile è quello della badante. Spesso noi italiani guardiamo con sospetto queste persone, colpevoli di “rubare il lavoro” dimenticando che tra il 1880 e il 1920 venti milioni di nostri connazionali sono emigrati in America. Capita infatti spesso ascoltando gli anziani di sentir nominare qualche lontano parente emigrato da giovane in cerca di fortuna. Cosa spingeva queste persone ad allontanarsi da casa? Fino agli anni ’70 gli studi si sono soffermati sull’uomo italiano «il capofamiglia che si spostava dall’economia di sussistenza contadina al lavoro salariato nei centri mondiali di sviluppo -ricorda Giuliana Franchini, docente di storia contemporanea e continua -La presenza delle donne nelle migrazioni otto-novecentesche…non è paragonabile a quella contemporanea». Le donne hanno iniziato a raggiungere l’America in conseguenza delle politiche statunitensi che regolamentarono i flussi di immigrati maschi favorendo invece il ricongiungimento familiare. Non sempre comunque la moglie poteva raggiungere il marito, spesso aveva interessi da curare legati ai terreni agricoli, oppure si occupava degli altri membri della famiglia.
Le mete predilette dai nostri conterranei
L’Argentina sembra essere la terra più raggiunta, seguita da Brasile, Cile, Colombia, Ecuador, Perù Uruguay e Venezuela, in quanto le miniere dell’America Latina erano fonte di ricchezza. Seguono Canada ed Usa. Tra il 1905 ed 1925 rientreranno 10.000 persone nel chiavarese e 30.000 in tutta la Liguria, a causa dell’esaurimento delle materie prime delle miniere, della concorrenza di altri immigrati per lo più olandesi e portoghesi, e della mancata protezione e tutela degli interessi degli immigrati da parte dello stato italiano.
Alfabetizzazione “forzata”
E’ un aspetto forse sottovalutato di queste persone che pur di mantenere un contatto con il coniuge lontano imparano velocemente ma con tante difficoltà a scrivere le proprie emozioni, il proprio vissuto su un pezzo di carta che diviene un simbolo di unione tra i due continenti. Teniamo conto che nel 1861 in Italia abbiamo il 71% di analfabetismo. A Genova l’Archivio Ligure della Scrittura Popolare, contiene numerose raccolte epistolari di questo periodo e studia i vari aspetti legati alla scrittura di queste persone, i loro sforzi per trasferire i pensieri, le loro storie.
Migranti da levante a causa delle troppe tasse sui liguri dopo l’Unità d’Italia
Tra il 1876 e il 1901 Genova è stato il primo porto italiano dell’emigrazione, si imbarcarono in questi anni il 61% della popolazione migratoria del nostro paese, il picco è stato raggiunto tra 1891 e 1895 con più di 100.00 imbarchi all’anno. Ma chi sono gli emigranti liguri? Cosa lasciano e come aiutano il loro territorio nativo? Gli abitanti del Tigullio, di Chiavari e dell’entroterra sono numerosi; un aspetto che spinse queste persone fu la difficoltà di valorizzazione agricola del territorio, sia a causa della complessa conformazione sia a causa della crisi dopo l’unità d’Italia che introdusse un alto fiscalismo nei confronti dei prodotti liguri. Inoltre il frazionamento delle proprietà nonché la difficoltà di introdurre nuove tecniche di coltivazione rendevano i frutti della nostra terra molto meno competitivi rispetto a quelli del mezzogiorno d’Italia. L’entroterra risentiva inoltre (ieri come oggi...) della grande mancanza di vie di comunicazione adatte, non vi erano strade rotabili e i trasporti erano infatti affidati alle vie mulattiere, per niente competitive rispetto alla ferrovia.
Dagli emigrati i soldi per le opere pubbliche sul territorio
I soldi mandati a casa dall’emigrante ligure non servono solo al sostentamento delle famiglie, essi vengono messi a disposizione per il finanziamento di opere pubbliche: il ponte sullo Sturla che unisce Prati e Isola di Vignolo a Mezzanego, eretto nel 1902, una fontana pubblica a Ognio e poi finanziamenti per la costruzione di ospedali, asili, strade, donazioni alla chiesa con abbellimento di edifici religiosi e cimiteri.
Fonte: Maura Bregante © Riproduzione vietata
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