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storia locale
di Vittorio Rosasco | 02 Novembre 2011 | in categoria/e cultura edizione cartacea storia locale
RANGHINELLI - Di quando si passeggiava solo il giovedì
Superando tutte le difficoltà venne il giorno della mia entrata in Seminario. Mia madre era felice, io entusiasta. Era un anno “ricco” per il Seminario il 1940: ben 19 nuovi alunni. Per la prima volta indossammo la veste talare e un simpatico ragazzino allegro e burlone cominciò a roteare facendo una bella ruota: “La mia veste fa squallore” diceva divertito, convinto di rimarcare la lucentezza del tessuto. Diventammo amici ma ben presto la sua allegria si spense. Non resisteva alla disciplina e dopo pochi mesi lasciò l’Istituto. Ci rimasi male perché era un ragazzo buono e pio. Seguendo l’esempio di un altro compagno, lo cancellai dalla fotografia di gruppo. Per fortuna non continuai in questo gioco stupido perché nel tempo avrei dovuto fare una strage! Se si escludono i due che rimasero indietro per motivi vari e quello che uscito dal Seminario ebbe una vita tormentata facendosi prima frate e poi sposandosi, nel 1952, caso unico, non ci furono ordinazioni sacerdotali.
La vita in Seminario era durissima tra preghiere, meditazioni, scuola seria, studio severo, disciplina ferrea. Brevi i periodi di ricreazione. In refettorio durante i pasti, silenzio assoluto. Si ascoltava la lettura di un libro sulla vita di un santo, il martirologio romano oppure qualche novità libraria, (ricordo ancora Umberto Nobile, l’Italia al Polo Nord). Solo gli ultimi dieci minuti, il suono di un campanello liberava tutti: ho ancora negli orecchi lo scroscio improvviso e il gran liberatorio fragoroso rotolio di parole. Per il resto si viveva in una dimensione irreale: solo chi era fermamente convinto di voler raggiungere la meta riusciva a sopportare le restrizioni e le costrizioni. Per me tutto era buono e giusto anche se oggi, a mente fredda, posso serenamente valutare quanto fosse talvolta disumano questo tenore di vita. Tutto era proibito, persino andare in bicicletta! Non esistendo riscaldamento d’inverno erano terribili le lunghe ore di scuola e di studio avvolti nei pastrani. La passeggiata del giovedì pomeriggio era un sollievo aspettato. Si andava, infagottati nel pastrano d’inverno, col ferraiolo nella bella stagione, in testa il cappello di feltro e per i più fortunati di lucido pelo nero. A me ne era stato regalato uno un po’ spelacchiato ma del quale ero orgogliosissimo e ne lisciavo il pelo con la mano. Se ci ripenso oggi mi viene da sorridere nel ricordare quelle lunghe file di bambinetti incedenti con passo svelto che non passavano certo inosservati, talvolta insultati con epiteti anche pesanti o col solito: “sacchi de carbun!”. Anche se la parola d’ordine era “non reagire”, colpito nell’orgoglio qualcuno rispondeva a tono. Si andava a visitare la magnifica Basilica dei Fieschi di S. Salvatore di Cogorno, il santuario delle Grazie al culmine della meravigliosa pineta, si andava al Curlo o allo Scoglio del sale dove talvolta, mettendo i piedi a bagno o legando il fazzoletto su di un bastone si attirava l’attenzione di qualche polipo divertendoci da matti.
Tratto da CORFOLE! del 11/2011, con 25.000 copie gratuite: la testata più diffusa del Levante © Riproduzione vietata
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