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    attualità

    02 Novembre 2010 | in categoria/e attualita

    IL PADRONE DELLE ONDE - In soli due mesi la seconda ristampa per il romanzo di Mario Dentone

    IL PADRONE DELLE ONDE - In soli due mesi la seconda ristampa per il romanzo di Mario Dentone

    Mario Dentone, classe 1947, rivano doc, artista poliedrico, curatore dell’opera del cantautore Luigi Tenco e autore di numerosi romanzi e atti teatrali, vive un momento di grande soddisfazione grazie al successo del suo ultimo lavoro Il padrone delle onde edito da Mursia ed arrivato in soli due mesi alla seconda ristampa.
    Il mare è raccontato con forte presenza fisica fin dalle prime pagine: ha avuto esperienza diretta, legata alle fatiche dei pescatori?
    Se per esperienza diretta si intende essere andato per mare, di notte, sui pescherecci, alle acciughe, non ho avuto esperienza diretta, anche se quel mondo mi ha sempre affascinato, sia nei racconti degli anziani, nel nostro borgo magico di Renà, dove sono cresciuto sempre in compagnia con mio nonno paterno, sia attraverso le letture. Ho pescato, sì, col gozzo, ai tramagli, ai palamiti, ma soprattutto ho ascoltato, curioso, vivendo e condividendo come mie le loro emozioni.
    Cosa simboleggia questo mare, così tanto amato e così tanto sofferto?
    Il mare è mito perché non ha tempo né luogo. Il titolo originario del romanzo era “Mare di vetro” a simboleggiare che nulla nasconde, tutto, metaforicamente e fisicamente, viene alla superficie. Al momento di andare in stampa la casa editrice dovette propormi un titolo diverso, poiché proprio un paio di mesi prima era uscito un libro con quel titolo e fu così che nacque, grazie alla sensibilità dell’editore, “Il padrone delle onde” che, confesso, mi piace molto, mi appartiene, come appartiene al protagonista e soprattutto ai nostri pescatori liguri.
    Quanto c’è di sé nei protagonisti?
    Beh, ho sempre scritto in prima persona, a dimostrazione che ogni romanzo, ogni opera teatrale, ogni racconto, anche ogni pagina occasionale, sono la spia e lo specchio di chi scrive. Non mi sono mai nascosto dietro la penna. In questo romanzo, scritto in terza persona, secondo la classicità del vero narratore, della struttura romanzesca, io sono presente eccome, sono quel bambino scalzo che correva sugli scogli di Renà, che si tuffava dalle Lardee, che pescava con suo nonno.
    Gli ‘orizzonti’ di Geppin, ossia l’amore per lo studio e la sfida perenne con il mare, sono stati anche i suoi?
    Geppin era analfabeta, in origine, come inevitabilmente, salvo rarissimi casi privilegiati in famiglie nobili o benestanti, erano tutti i ragazzi di duecento anni or sono, soprattutto in piccoli paesi isolati come potevano essere Moneglia e Riva Trigoso, ma sentivo la necessità, creando Geppin e il suo mondo, di dare un perché ai suoi sogni semplici, a quell’orizzonte che scrutava e sognava di raggiungere e toccare. E come successe a me da ragazzo scapestrato, negligente, improvvisamente si aprì in lui il mondo da conoscere, e conoscere è leggere, farsi portare nella fantasia dalla grandezza dei classici, Omero, Dante e poi i grandi navigatori, perché soltanto così la vita si fa poesia e la poesia è vita.
    Moneglia, Renà e Riva Trigoso, paese d’origine del quale dice di avere un bisogno eterno, fisico mentale; quando si è accorto che questo amore, poteva essere sublimato in opere letterarie?
    Sempre. Riprendo Pavese, quando ne La luna e i falò scrive “Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via, un paese vuol dire non esser mai soli, sapere che nelle piante, nella gente, nelle strade, anche quando non ci sei c’è sempre qualcosa di te che resta ad aspettarti”. Forse Leopardi, mi si perdoni scomodare per me l’immenso, avrebbe scritto quella meraviglia senza Recanati, e così tutti, dico tutti, gli scrittori e poeti? Montale avrebbe scritto gli “Ossi di seppia” e “Le occasioni” senza Genova e la nostra riviera?
    Passione anche per la storiografia. Nella presentazione de Il padrone delle onde, cita una vecchia compilazione di storia locale. Quanto conta per lei?
    Tutto, mi documento sempre, certosinamente, perché anche un portico, un carruggio, una finestra, possono essere un romanzo, una storia. Per il precedente romanzo La Badessa di Chiavari ho consultato trecento e più libri sulla vita monastica nel Medio Evo, per questo Il padrone delle onde sto leggendo da tre anni libri di mare, sto consultando atlanti, documenti su velieri, sul linguaggio marinaresco, sugli oceani, anche perché la storia di Geppin mica è finita, anzi…
    Parliamo invece del dialetto ligure, lei usa molti lemmi talvolta italianizzati; pensa che esso rappresenti una risorsa espressiva da tutelare?
    Il dialetto, che mi era proibito in casa, da bambino, perché c’era il pregiudizio che diseducava, soprattutto storpiava il buon uso dell’Italiano a scuola, fu la mia conquista clandestina, perché lo imparai fuori di casa, grazie allo stare sempre insieme con mio nonno, fra i suoi amici, ad ascoltare i loro racconti rigorosamente in dialetto, che era la loro unica forma di dialogo. Sono stato un privilegiato.
    Maura Bregante
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    Tags: libri 


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