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edizione cartacea, locali, uscire
di Giansandro Rosasco | 03 Ottobre 2012 | in categoria/e attualita cucina edizione cartacea locali uscire
Jamshed, il “sultano” del Kebab: l'integrazione tra cultura orientale e occidentale passa anche dalla gastronomia
"Mamma li turchi!" con questo grido, tra il 1400 e il 1600 circa, l'Italia meridionale era periodicamente "visitata" dai pirati Ottomani (cioè, turchi), che depredavano le città sulla costa, commettendo ogni sorta di barbarie. Quando da terra venivano avvistate le loro navi, veniva lanciato questo grido di allarme, che da allora è diventato sinonimo di pericolo imminente. Di tempo ne è passato ma quando guardiamo alla cultura araba (in tutte le sue sfaccettature) lo facciamo sempre con parecchia diffidenza alimentando probabilmente la loro nei confronti della nostra. Stessa cosa capitava anche al sottoscritto fino al giorno in cui non ho incontrato Jamshed Nawaz, un esempio di persona perfettamente integrata nel territorio che può vantarsi di aver pacificamente "invaso" e conquistato il mio stomaco con un piatto delizioso chiamato kebab. Jamshed ha una storia di immigrazione diversa da quelle purtroppo tragiche che siamo abituati a sentire. Arriva dal Pakistan agli inizi degli anni 90 con un diploma di scuola superiore. Il suo biglietto aereo è di andata e ritorno ma si innamora dell'Italia e decide di trasferirsi definitivamente nel nostro paese, dapprima in Lombardia. Inizia così ad intraprendere i più disparati mestieri imparando la lingua italiana anche grazie ai corsi gratuiti del Comune di Solaro (MI). Ma la sua passione è la gastronomia: arrivato a Chiavari decide di aprire un negozio perchè sente che la sua strada è quella. Da lì in poi aiuterà due suoi nipoti ad aprire un punto vendita a Sestri e uno a Santa Margherita rendendolo di fatto il "sultano" del Kebab nel Levante. Per capire il successo di Jamshed bisogna cogliere il suo sguardo: sempre molto attento e con il guizzo del piccolo imprenditore. Jamshed è cordiale, tiene il suo locale molto pulito, è affabile con i clienti, conosce l'inglese. Oserei dire un esempio di come dovrebbero essere i ristoratori liguri (senza offendere i tanti preparati): la dimostrazione pratica mi arriva mentre sto stilando l'intervista, quando entra un turista tedesco che non aveva mai assaggiato il kebab ma che ha deciso di provarlo perchè i prezzi nel suo negozio sono esposti ben in mostra (senza scherzi amari alla fine del pasto) e prepara il piatto di fronte al cliente. “Il mio Kebab ha almeno 130 grammi di carne - specifica con orgoglio - ed è un piatto completo perchè c’è il pane (o la piadina) e le verdure. Con 5 euro complessivi si può pranzare in maniera equlibrata, bibita o acqua compresa”. Perfeto per tute le età, aggiungerei. Se poi pensate che questo scritto sia un inno all'egemonia della cultura araba su quella occidentale vi sbagliate di grosso, Jamshed stesso mi confida che almeno tre volte a settimana non può fare a meno di sbafarsi il suo piatto preferito cioè un bel piatto di pasta "Made in Italy". Allora che dire, viva l'arte culinaria se questa può far incontrare le nostre culture così apparentemente distanti ma così concretamente bisognose di interagire per farci comprendere che alla fin fine l'unica razza di cui possiamo vantarci è una ed è unica, quella umana.
Trovate Jamshed a Chiavari in Corso Valparaiso 102
IL KEBAB: storia di un piatto mitico
Il kebab (in arabo “carne arrostita”) è una sorta di piadina (pitta) riempita di carne, verdure e salse a piacere. Tipico della gastronomia turca è divenuto popolare in Germania nel 1971 grazie a un immigrato che diventerà così ricco e famoso: Mehmet Aygun, un immigrato turco venuto a dare una mano nel ristorante di suo zio, a Berlino. Il tipo di kebab più famoso probabilmente è il döner kebab: doner significa è il nome della cottura allo spiedo; kebab è la carne grigliata. Si trovano numerose versioni del kebab, a seconda dei paesi e delle culture, e lo stesso termine può riferirsi a differenti tradizioni culinarie. La carne nei paesi di origine è solitamente di pecora, agnello o manzo ma mai di maiale, in quanto carne vietata dall’Islam; da noi sono più frequenti quelle di manzo e di pollo. Viene condita emarinata, poi sagomata a cono e quindi infilzata nello spiedo verticale che viene fatto ruotare vicino a una fonte di calore; una volta consisteva in brace rovente sistemata in apposite griglie disposte verticalmente intorno allo spiedo, oggi è invece un’apposita macchina, una sorta di fornello verticale. La carne così preparata viene servita all’interno di panini e piadine, o collocata su un piatto vero e proprio. Come condimento si aggiungono verdure miste, e varie salse: le più tradizionali sono la harissa piccante, l’hummus a base di ceci e tahini (pasta di sesamo) e il tzatziki fatto con yogurt e aglio oppure altre salse come la barbecue, la maionese o il ketchup, per venire incontro alle richieste dei clienti occidentali.
Tratto da CORFOLE! del 10/2012, con 25.000 copie gratuite: la testata più diffusa del Levante © Riproduzione vietata
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