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attualità
05 Marzo 2012 | in categoria/e attualita
Terremoto e maremoto: quando arrivarono i sopravvissuti alla catastrofe del 1908
“Stamani, alle 5.21, negli strumenti dell’osservatorio è incominciata un’impressionante e straordinaria registrazione. Le ampiezze dei tracciati sono state così grandi (oltre 40 cm) che non sono entrate nei cilindri. Da qualche parte sta succedendo qualcosa di grave!”. Questa annotazione degli addetti dell’Osservatorio San Giovannino o Ximeniano di Firenze (Ente scientifico autonomo, fondato a Firenze nel 1756 dal gesuita Leonardo Ximenes) forse può rendere l’idea di quanto accadde il 28 Dicembre 1908: in quel momento Messina veniva rasa al suolo da una spaventosa scossa che durò oltre 30 secondi raggiungendo il 7° grado della scala Richter. Al centinaio di scosse successive si sommò l’effetto devastante del maremoto: il mare si ritirò per 200 metri e poi, con tre gigantesche ondate, cancellò quel poco che era rimasto. Il bilancio fu di oltre 80.000 morti e di un numero incalcolabile di feriti.
Ai soccorsi parteciparono navi e volontari di tutto il mondo; le macerie erano talmente alte che era impossibile attraversarle. Nella corsa agli aiuti che da tutto il Paese raggiunsero la Sicilia anche la cittadina di Pieve Ligure, allora Pieve di Sori, diede il suo contributo, con il gesto generoso di Angelo Fulle (o Folle): era il comandante del piroscafo Stella, il cui armatore era Luigi Mezzano di Sori, zio della moglie. A bordo lavorava come nostromo un siciliano di Messina, Mariano La Camera. Quando seppe del terremoto, si trovavano poco lontano, perché provenienti da Sfax in Tunisia; Fulle disse al nostromo che si sarebbero fermati per cercare i suoi parenti e di non preoccuparsi perché a Pieve disponeva di un appartamento sfitto, dove avrebbero potuto andare ad abitare. Mariano La Camera ebbe la fortuna di ritrovare, in una Messina sconvolta, la sua famiglia miracolosamente ancora viva: la moglie Grazia Libro e cinque figli, Pina, Carmela, Giovanna, Carmelo e Girolamo (detto Girò), più un fratello scapolo. Nel terremoto avevano perso tutto, salvarono solo, curiosamente, una pezza di stoffa nera, che, in seguito, regalarono ai Fulle. Giunti a Pieve, trovarono un appartamento pronto per loro. Leggenda vuole che abbiano fatto trovar loro anche la tavola apparecchiata e il minestrone già pronto. I nuovi venuti, chiamati in paese ‘i messinesi’, si ambientarono perfettamente e senza difficoltà. Grandi lavoratori, onorarono sempre i loro debiti - Angelo Fulle aveva garantito per loro nei negozi - e si fecero benvolere da tutti. I figli impararono rapidamente il dialetto, e addirittura ne parlavano una variante più pura ed antica di molti nativi di Pieve. Mariano La Camera continuò a lavorare come nostromo sulla nave, anche dopo che Angelo Fulle si era ritirato, e tutti furono sempre riconoscenti verso il loro benefattore. Dopo qualche anno i La Camera ebbero altri tre figli, giungendo ad un totale di sette. Il caso volle che i La Camera, con tante figlie femmine, abitassero vicino ai Montobbio, che avevano sette figli maschi. Tre delle loro figlie sposarono altrettanti Montobbio. Alcuni discendenti vivono ancora a Bogliasco e a Pieve Ligure.
PierLuigi Gardella
Tratto da CORFOLE! del 3/2012, con 25.000 copie gratuite: la testata più diffusa del Levante © Riproduzione vietata
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