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    attualità

    01 Agosto 2010 | in categoria/e attualita

    il dilemma della tomba di Fracchia: per metterci una pietra sopra serve il federalismo

    il dilemma della tomba di Fracchia: per metterci una pietra sopra serve il federalismo

    “Quattro case ammucchiate attorno ad una chiesa: una fungaia nata ai piedi di un giglio… solitudine e silenzio. Silenzio infinito e carico di arcano, rotto solo da un muoversi di ruota: la macina che frange lenta, invisibile e continua, un mondo di ulivi che danno un olio trasparente, uguale… e ciascuno è lieto di darlo in una rassegnazione d’oro”: con queste parole lo scrittore e giornalista Umberto Fracchia descriveva Bargone, frazione collinare casarzese che divenne la sua seconda casa.
    Vissuto a cavallo tra Ottocento e Novecento, trascorse la sua vita tra la Toscana e Roma dove compì gli studi fino all’Università, e Bargone dove era solito trascorrere le vacanze estive presso la nonna materna. Proprio fra queste colline il piccolo Umberto manifestò il proprio talento: a 10 anni scrisse e disegnò un giornalino settimanale dedicato alla nonna, intitolato “La Colomba”. Appena ventenne iniziò a scrivere per “La Tribuna” e “Il Resto del Carlino”, dedicandosi inoltre alla traduzione, in particolare dal francese e occupandosi di cinema, come direttore artistico, soggettista e regista di commedie molto note, come “La volete sapere la novità”. Nel 1921, pubblicò il primo romanzo “Il perduto amore”, cui seguì due anni dopo “Angela”, importanti punti di riferimento della letteratura italiana. Nel 1925, insieme alla moglie, Bruna Luciani, e ad alcuni volontari pubblicò il primo numero della rivista “Fiera Letteraria”, che si proponeva di “raccogliere il fiore dell’Umanesimo e di tutti gli intelletti che lo coltivano degnamente”.
    Non aveva ancora quarant’anni, quando lasciò molti dei suoi impegni per trasferirsi a Bargone e “tornar campagnolo” come diceva egli stesso. Iniziò a scrivere per il Corriere della Sera e a pubblicare articoli sul paesino casarzese. Nell’ultimo scritto, “La Campana malata” è riportata la più bella descrizione del paesello: “Beato paese, dove silenzio e solitudine sono sempre a portata di mano! Prendo un viottolo attraverso i campi, e mi perdo nell’ombra”. Un finale molto malinconico che sembra preludere all’improvvisa morte dello scrittore, avvenuta il 5 dicembre 1930 a Roma, durante una trasferta per seguire le vicende della “Fiera Letteraria”.
    Nella memoria della frazione casarzese il ricordo di Fracchia è rimasto vivo ed indelebile. Qui, nell’unico paese al mondo che egli ‘sarebbe stato in grado di vedere anche se fosse diventato cieco’, oltre all’abitazione dello scrittore- attualmente sede del Consorzio dell’acquedotto- si trova anche il mausoleo che ne ospita la tomba: una costruzione imponente, fatta costruire dalla vedova nel luogo che egli stesso aveva indicato nei campi di sua proprietà, su disegno dell’architetto Enrico Del Debbio. Qui, nel corso di una solenne cerimonia, il 17 maggio 1959 venne trasferita la salma.
    Oggi ad oltre cinquant’anni di distanza dal ritorno, questa volta definitivo, di Fracchia a Bargone, la sua “casa” sembra abbandonata e presenta numerose infiltrazioni di umido. Nel 2008 l’amministrazione comunale nell’ambito di una politica di valorizzazione storica della frazione, inserì a bilancio una piccola somma per lavori di recupero. Nonostante la buona volontà e l’impegno dell’allora Assessore al Turismo e alla Cultura, Oliviero Pezzi, che mise in atto alcuni piccoli interventi con i mezzi a disposizione, il progetto venne accantonato.
    A distanza di due anni, l’attuale sindaco, Claudio Muzio, torna sulla questione: “Abbiamo avuto colloqui con la Provincia e la Regione presentando il progetto preliminare dell’intervento, da attuare a stralci e chiedendo lo stanziamento di fondi”. Il progetto ammonta a 28 mila euro e potrebbe consentire l’esecuzione di lavori volti a restituire dignità e decoro all’edificio, per inserirlo in un eventuale percorso di turismo culturale e, perché no, sentieristico. Purtroppo, nonostante i buoni propositi, l’Amministrazione sembra aver fatto i conti senza l’oste: infatti il mausoleo e il terreno sul quale è costruito, pur facendo parte del lascito Fracchia, non sono stati dati al Comune che quindi non può in alcun modo intervenire. Nemmeno tagliare l’erba, ormai talmente alta da impedire l’avvicinamento all’edificio. L’unica speranza per poter mettere mano ad una situazione di degrado che ormai si protrae da anni è la via del federalismo demaniale con il quale il lascito Fracchia potrebbe diventare comunale. E se la burocrazia non agisce in base al legame affettivo con il territorio e al valore storico dei beni in proprio possesso, tanto vale dirla con le parole di uno dei diari dello scrittore: “L’uomo che ha sempre vissuto in città cosa sa della Terra?E’ come uno che, vivendo in un’isola, non sappia neppure nuotare”.


     


    I commenti dei lettori
    Lucio Marzio Mazola:

    Al proposito della "tomba" di Fracchia, come del giardino della casa stessa,avevo pubblicato un album due anni fa, sul "gruppo Bargone", commenti, ma nessun riscontro.....e coninuiamo a lasciare tutto nello stato di abbandono...


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