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attualità
01 Maggio 2009 | in categoria/e attualita
Italia Paese federale? Il 30 aprile, all'indomani del voto al Senato sull'attuazione dell'articolo
L'Italia è un paese federale? A leggere i grandi giornali, non restano molti dubbi. Il 30 aprile, annunciando il voto del Senato sull'attuazione dell'articolo 119 della Costituzione, il Corriere della sera titolava: "Il federalismo fiscale è legge". Il Sole 24 ore echeggiava: "L'Italia federale parte dal fisco". Gli altri suonavano più o meno lo stesso spartito. A ben guardare, però, le cose sono più complesse, e la portata della riforma voluta da Umberto Bossi è meno rivoluzionaria di quel che appare. Non è solo la sostanziale assenza di opposizione a suggerire che i vecchi equilibri si siano sostanzialmente conservati: solo l'Udc ha votato contro, mentre il Pd si è astenuto (un chiaro gesto di non belligeranza) e l'Idv ha dato il via libera. Difficilmente un vero cambiamento passa senza scontentare almeno qualcuno. Del resto, lo stesso Stefano Folli ha avvertito, dalle colonne del quotidiano di Confindustria, che è ancora presto per "salutare come evento storico il federalismo". Questo per varie ragioni, che vanno ben oltre i tempi lungi delle nuove regole (andranno a regime solo nel 2016). Anzitutto, c'è una questione concettuale: un federalismo correttamente inteso implica la piena libertà e autonomia di prelievo e di spesa da parte dei soggetti federati. L'Italia non va e, a Costituzione vigente, non può andare in questa direzione. Quello che accadrà è che i fondi, pur venendo distribuiti dal centro alla periferia come ieri e come oggi, non saranno più allocati secondo il criterio della spesa storica, ma secondo quello dei costi standard. In pratica, finora chi più ha speso, bene o male che l'abbia fatto, pil ha ricevuto. In futuro, tutti saranno finanziati in base a costi standard, appunto, uguali a ogni latitudine. Questa è una rivoluzione copernicana nel nome dell'efficienza perchè premia chi, a parità di servizio reso, spende meno. E' una bellissima cosa. E' un grande miglioramento nella gestione dell'esistente. Ma non è federalismo. Gli enti locali non possono scegliere cosa fare e come finanziarlo: semplicemente dovranno rispondere, nelle loro azioni, a incentivi diversi e più efficaci rispetto al passato.
L'altra grande questione che, al momento, resta aperta, riguarda la faccenda dei costi della riforma. Il federalismo presuppone la sostituzione del centro con la periferia, cioè il passaggio da un sistema centralizzato a uno policentrico. Questa sostituzione non c'è nel "federalismo fiscale" voluto dal centrodestra. C'è, semmai, il rischio di una duplicazione delle funzioni e delle competenze, che porterebbe a un aumento della spesa aggregata e della confusione. Tale rischio va chiarito e disinnescato, per non trasformare un potenziale passo avanti in un mezzo capitombolo.
Insomma: con la legge appena approvata l'Italia potrebbe diventare un paese un po' migliore. Sono stati gettati alcuni semi interessanti, e con essi si sono aperti nuovi rischi. In ogni caso, la strada verso la riforma federale che da vent'anni è in lista d'attesa rimane ancora lungissima.
Carlo Stagnaro
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