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    attualità

    05 Aprile 2011 | in categoria/e attualita

    PASQUA: l'arte dell'intreccio e la tradizione delle palmiere

    Alla riscoperta degli usi liguri e levantini, con... un incontro inaspettato
    PASQUA: l'arte dell'intreccio  e la tradizione delle palmiere

    Intrecciare foglie di palma per creare parmureli  -noti in dialetto come  “O parmè”, il palmiere- è una tradizione ligure che si tramanda di generazione in generazione. Basti pensare che, secondo l’antico privilegio del 1586 concesso da Papa Sisto V,  i parmureli donati al Papa, ai Cardinali e ai Vescovi in occasione della Domenica delle Palme,  provengono da Sanremo e Bordighera. In questo periodo passeggiando per i carrugi della riviera e i vicoli genovesi, non è difficile incontrare persone sedute dietro ai loro banchetti che preparano il palmiere da benedire. Li abbiamo intervistati.
     
    RICORDI CHIAVARESI
    “Imparai a realizzare ‘o parmè’ quando ero ancora molto piccola, forse non riuscivo nemmeno a soffiarmi il naso da sola- sorride Adriana Bacigalupo, 88 anni,chiavarese, correndo con la memoria ai felici ricordi dell’infanzia- Le mie origini sono di Castiglione Chiavarese. Per lunghi anni ho abitato a Lavagna, poi mi sono sposata giovanissima con il mio caro Attilio, a Chiavari: io e le mie sorelle abbiamo imparato l’arte di intrecciare le palme da una famiglia di amici che abitavano dove ora c’è la sede della banda di Lavagna. Qui, sedute sotto i portici, insieme ad altre signore... le prime volte ce le davano già iniziate, poi ci insegnarono a realizzarle dal principio alla fine”. Le sue mani, intanto, pur segnate dalle primavere trascorse, si muovono agili sul ramo di palma, raccolto per l’occasione. Non è il ramo adatto per realizzare il palmiere,  ma Adriana sorride e si mette comunque all’opera: “Dalle palme grosse, quando c’è vento, si spargono i “cucchetti”, semi che poi danno vita a nuove piante di palma- spiega-  per realizzare l’intreccio bisogna utilizzare il cuore della palma, la parte più tenera e chiara.”. Solleva il ramo e ci fa notare che è diviso in due parti: “Per prima cosa bisogna togliere la “costa” la parte più dura del gambo, poi bisogna legarlo ad un po’ di distanza dall’inizio del ramo per  creare la base dell’intreccio; solo dopo si dividono le foglie e si puliscono con uno spazzolino per evitare che si sfilaccino e poi si  comincia a fare la “pancia”” . Le mani si muovono veloci e ora la palma è pronta per essere intrecciata: si parte con tre foglie larghe e poi, mentre si sale lungo la “schiena” del palmiere (il ramo), si raccolgono foglie da una parte e dall’altra per proseguire l’intreccio. Arrivati ad una certa altezza le foglie intrecciate devono essere fermate o con un filo o con la pinzatrice. I tratti di foglia rimasti  verranno poi fermati, infilandoli nelle fessure dell’intreccio. “Una volta finito il palmiere-  prosegue Adriana-  deve essere messo in un vaso con un po’ d’acqua perché possa conservarsi fino alla benedizione”.  In passato, una volta benedette, le palme venivano posizionate sulla testa del letto dei bimbi, mentre i rametti d’ulivo venivano  incastrati nelle cornici dei quadri della Madonna. Secondo la tradizione, verranno poi bruciati e le ceneri verranno utilizzate nelle celebrazioni del mercoledì delle Ceneri dell’anno successivo.
    SACRO, MA NON SOLO…
    Camminando in mezzo ad una folla di gente tra le bancarelle della Fiera di Sant’Agata, l’ultima cosa che ti aspetteresti di incontrare è un giovane dai tratti orientali che sperimenta la sua personale versione dell’intreccio delle palme. Se ne sta lì seduto in un angolo appoggiato ad un furgoncino bianco, mentre le sue dita continuano a lavorare le foglie di palma con movimenti lenti e precisi, sorride ai passanti che si fermano ad osservarlo incuriositi. Non chiede l’elemosina, davanti a lui c’è  solo un alberello al quale sono appesi diversi animaletti. C’è una bellissima farfalla. “Scusi, quanto costa?” domandò. Il giovanotto alza lo sguardo mi sorride “Tre euro”. “La prendo”. Sorrido, pago  e mi allontano con la farfalla tra le mani: la osservo e mi chiedo quanto tempo possa aver impiegato quel giovane orientale a realizzarla e quante  effettivamente  ne riesca a vendere in una giornata. Peccato non essere riuscita a chiedergli dove avesse imparato a creare quelle piccole meraviglie e non aver potuto ascoltare un po’ della sua storia. Una cosa è chiara: quando si dice “impara l’arte e mettila da parte” un po’ di verità c’è sempre, soprattutto se l’arte in questione si unisce a quella dell’arrangiarsi.
    Chiara Staderoli
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    Tratto da CORFOLE! del 4/2011, con 25.000 copie gratuite: la testata più diffusa del Levante © Riproduzione vietata


     


    I commenti dei lettori
    anonimo:

    Bellissimo articolo! che nostalgia..


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